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Festa grande, ieri 26 agosto, per la Chiesa di Lecce. In un clima di letizia e di gaudio spirituali si è celebrata la solennità dei Santi Oronzo, Giusto e Fortunato, patroni e protettori dei Lecce e di tutta l’arcidiocesi.

 

 

A presiedere il solenne pontificale trasmesso in diretta da Portalecce e Telerama (GUARDA) il card. Angelo De Donatis, salentino di origini, già vicario generale del Santo Padre per la diocesi di Roma e, ora, Penitenziere Maggiore. Accanto al porporato, l’arcivescovo Michele Seccia, i vescovi mons. Luigi Pezzuto, mons. Cristoforo Palmieri e, una nutrita rappresentanza di sacerdoti diocesani e religiosi e di diaconi.

Il servizio liturgico è stato prestato dai seminaristi della diocesi guidati dal direttore dell’Ufficio liturgico diocesano don Mattia Murra. I canti sono stati eseguiti dal coro diocesano diretto dal maestro Tonio Calabrese e all’organo Carlo Chirizzi.

È toccato al padrone di casa, mons. Seccia, quale pastore della comunità ecclesiale leccese, farsi interprete dei sentimenti di tutti i presenti (IL TESTO IN ALTRO ARTICOLO DI OGGI), grati per una visita tanto importante. La presenza di un cardinale e, infatti, richiamo alla universalità del martirio, è provocazione a vivere una fede nella quale non può mancare la dimensione del martirio (da qui il colore rosso dei porporati) intesa nell’accezione della testimonianza, è sprone a vivere il vangelo in maniera radicale così come hanno fatto i martiri Oronzo, Giusto e Fortunato.

Nell’omelia (LEGGI IL TESTO INTEGRALE), il card De Donatis si è soffermato sul valore del martirio e sulla testimonianza cristiana, doni inestimabili della Provvidenza per chi lo sceglie per dare senso alla propria vita: “Tutti e tre (i santi patroni, ndr), con in testa Oronzo, primo vescovo di questa città, ebbero la grazia di comprendere il significato più profondo di quanto un giorno Gesù aveva detto agli apostoli: ‘Non vi chiamo più servi, ma vi ho chiamati amici, perché vi ho fatto conoscere tutte le cose che ho udite dal Padre mio’ (Gv 15, 15). Essi, pur essendo cresciuti in un ambiente pagano, hanno saputo riconoscere in Gesù Cristo il volto di un Dio di cui poter essere amici, e non una divinità lontana, da temere, da servire o da placare. Per vocazione, hanno compreso che amare Dio e amare i fratelli è tutto ciò che dà davvero senso alla vita e hanno portato a compimento quanto abbiamo ascoltato nel Vangelo: ‘Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici’ (Gv 15, 13)”.

“Oronzo, però, ha cambiato vita quando - ha sottolineato il porporato -, dopo aver ascoltato Giusto, discepolo dell’Apostolo Paolo, naufrago sulle coste di San Cataldo - da sempre il nostro Salento è stato terra di accoglienza - è rimasto folgorato dall’annuncio della “Bella notizia”. Ha svestito gli abiti sbiaditi del paganesimo e ha indossato la veste candida dei battezzati; ha abbandonato le false promesse degli idoli e ha scelto la Speranza che è Gesù di Nazareth. Anche Sant’Oronzo però ha avuto bisogno di un testimone, di qualcuno che gli parlasse di Gesù e che fosse per lui modello di sequela e discepolato. Solo dopo aver conosciuto la novità del Vangelo, Oronzo si è messo in gioco, diventando, a sua volta, testimone autentico del Vangelo”.

Un passaggio ricco di significato ma anche di “nostalgia salentina”, De Donatis lo ha dedicato al dramma della xylella che ha devastato il paesaggio e l’economia agricola di questa terra: “Vi confido che ogni volta che torno in auto nel Salento non posso non accorgermi, con sofferenza, di quanto siano diventate desolate le nostre campagne a causa della diffusione della xylella. I nostri ulivi secolari, pur così robusti e ben radicati nel terreno, hanno perso quella linfa vitale che dà vita e colore ai propri rami, caricandoli di olive da cui viene il buon olio che allieta le tavole e allevia le ferite. Quest’immagine di desolazione deve diventare per noi un monito: anche l’albero della nostra fede e delle nostre tradizioni, pur essendo ben piantato nella nostra storia, oggi inizia a rinsecchire, a perdere colore e a dare sempre meno frutto. Nessuno di noi dovrebbe dare per scontato che la fede potrà accompagnare, sostenere e illuminare la vita delle prossime generazioni, senza una personale e coraggiosa assunzione di responsabilità da parte di ciascuno di noi nel coltivare la propria missione di testimonianza”.

Ha continuato poi esortando alla testimonianza nei vari ambiti dell’esistenza, ciascuno secondo la propria vocazione: ai consacrati, ai politici e agli amministratori, alle famiglie, a tutti coloro che hanno responsabilità e funzioni educative al servizio dei giovani: “come adulti e come cristiani siamo chiamati a farci responsabilmente carico delle sfide che i giovani pongono davanti ai nostri occhi. Siamo chiamati a riconoscere e apprezzare i valori che i giovani di oggi coltivano e le risorse che essi si portano dentro. Come per Oronzo la testimonianza di San Giusto è stata decisiva, così per i nostri ragazzi il nostro esempio sarà fondamentale: solo così potranno sprigionare in positivo la bellezza e la creatività della loro età. Finché, invece, continueremo a lamentarci dei nostri ragazzi perché si sentono attratti dai falsi idoli, se ci limiteremo alla lamentazione… non riusciremo mai ad adempiere al nostro compito di educatori”.

Ha concluso ricordando l’esempio dei santi che hanno vissuto la testimonianza nel Salento e a Lecce: “Il libro su cui studiare non ci manca, è il Vangelo! E nemmeno tanti buoni esempi: questa diocesi e il Salento, oltre a Oronzo, Giusto e Fortunato, ne annoverano un lungo elenco. Penso ai Martiri di Otranto, penso a San Filippo Smaldone, a don Tonino Bello, a don Ugo De Blasi, a don Nicola Riezzo, a frà Giuseppe Ghezzi, a Luigia Mazzotta, a Madre Santina De Pascali. E poi ai tanti ‘testimoni della porta accanto’ che, senza fare rumore, hanno trasformato la loro vita in una lezione di Vangelo, ricchezza per tutti. Non ci manca nulla, fratelli e sorelle, per portare a termine la nostra missione di testimonianza”.

 

Racconto per immagini di Arturo Caprioli.

 

 

 

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