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Domani 25 agosto, secondo giorno di festa patronale, alle 20, presso il salone dell’episcopio di Lecce, si terrà il convegno “Attingiamo futuro alle nostre radici”, organizzato dall’associazione Valori e Rinnovamento e da Art&Co Gallerie.

Nel corso dell’evento sarà donata a mons. Michele Seccia un’opera dell’artista Angelo Savarè. La serata tuttavia sarà l’occasione giusta per fare il punto sulle controversie che ruotano attorno alla figura di Sant’Oronzo.

Il clima di revival oronziano che da circa un anno si respira nei principali centri di culto del santo ha infatti rivitalizzato il dibattito sul nostro patrono. È risaputo che, nel corso del tempo, autorevoli voci come Pietro Palumbo o Francesco Lanzoni espressero seri dubbi sulla vicenda del martire, giungendo a ritenere infondata la tradizione sul primo vescovo di Lecce. Ma, al tempo stesso, altri validi studiosi come Sante de Sanctis o Vito Ingellis ne difesero a spada tratta la figura. Il contrasto fra “oronzofobi” ed “oronzofili” raggiunse il punto più alto con la disputa che vide opporsi gli indimenticati Raffaele de Simone e Luigi Protopapa. Il primo si diceva convinto che il santo altro non fosse che una trasfigurazione agiografica del martire Aronzio di Potenza, vissuto nel IV sec. Il secondo fu invece uno strenuo difensore dei dati tradizionali. Proprio a mons. Protopapa spetta il merito di aver schiuso la pista balcanica nella questione oronziana. Pista che ha condotto lo studioso Stefano de Carolis a ritrovare nella città croata di Nona un reliquiario dell’XI sec. che presenta l’immagine di un Oronzo dal sapore bizantino. Tale scoperta ha aperto un nuovo scenario perché ci ha consegnato quella che potrebbe essere la più antica iconografia del martire giunta sino a noi.

Il fatto che questa luce giunga dall’altra riva dell’Adriatico rende la geografia del culto oronziano un rompicapo incomprensibile. Del resto, se la venerazione per il santo nei luoghi della provincia leccese può essere giustificata dalla vicinanza al capoluogo, è però difficile sostenere la medesima ipotesi per Ostuni e Turi o per le tracce del culto attestate a Manfredonia e Monte Sant’Angelo, o addirittura nella Venezia-Giulia, come a Grado. Figurarsi in Dalmazia. Probabilmente la fama di Oronzo era un tempo più vasta di quanto oggi non appaia.

C’è poi un secondo filone di ricerca, quello seicentesco, di cui è protagonista il vescovo Pappacoda. Questo sanguigno prelato campano, zelante esecutore dei dettami del Concilio di Trento, è stato il principale artefice del rilancio oronziano in epoca barocca. Rilancio promosso in grande, attraverso la ricostruzione della cattedrale, le visioni mistiche del veggente Domenico Aschinia che attribuirono al santo la salvezza di Lecce dalla terribile peste del 1656 ed una sapiente propaganda iconografica veicolata dal diffondersi in tutto il Salento della celebre tela del Coppola. È anche lecito ammettere che la figura di Oronzo risultasse funzionale al Pappacoda per sollevare il prestigio dell’episcopato leccese, ridimensionare l’influenza degli ordini religiosi e contrastare il primato della sede di Otranto. Tutto questo non implica tuttavia l’idea che sia stato posto sugli altari una fantasma. La questione oronziana è una tematica profonda. Per tal motivo va accostata con delicatezza, senza la presunzione di esser giunti a risultati definitivi. Quello che si auspica perciò è la costituzione di un centro studi regionale che possa mettere in contatto le diverse realtà custodi della memoria del santo e di una biblioteca oronziana che possa raccogliere i documenti e gli studi di quanti hanno indagato il mistero del nostro protettore.

 

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