Settant’anni. Auguri, carissimo don Gigi. Amato e stimato fratello.
Felici con te, accomunati dall’intenso amore per questa terra salentina e la nostra diletta comunità cristiana. Contenti per la testimonianza che offri con ferma convinzione, fondata sempre su principi inossidabili e con sincero e fraterno atteggiamento dialogico.
Certo, c’è il forte rischio di scadere nell’elogio occasionale o lusinghiero: basta, però, esporre dati e fatti.
È facile considerare il tuo percorso di sacerdote disponibile al servizio pastorale (tra l’altro, sei stato parroco dal 1981 al 1999 e responsabile nella basilica di Santa Croce per un altro periodo).
È avvincente riconoscere il tuo impegno culturale, per cui dal 28 ottobre 1973, con la pubblicazione Rimanete nel mio amore, hai iniziato a dare alle stampe una qualificatissima serie di studi teologici che ti identificano come patrologo affascinato dal grande Agostino di Ippona, del quale sei considerato uno dei più profondi e brillanti specialisti contemporanei.
Si possono, poi, ricordare, tra i tanti studi, i testi su Massimo il Confessore, sulla Sacra Scrittura e la Tradizione in San Girolamo e nei Padri dei secoli IV e V, l’unità della Chiesa…
Oltre al tuo insegnamento di Patrologia presso la Facoltà teologica pugliese…
E la rilevante responsabilità di direttore dell’Istituto di scienze religiose metropolitano di Lecce, non solo il più numeroso di studenti nella Regione, ma ormai molto apprezzato per la formazione dei discenti, le attività accademiche, la proficua collaborazione con l’ateneo statale salentino.
Con il bagaglio di due lauree, hai costruito un curriculum scientifico oggettivamente molto ragguardevole.
Al quale si aggiunge l’impegnativa responsabilità di vicario generale dell’arcivescovo mons. Seccia, cioè di primo collaboratore del presule nell’individuare e realizzare scelte, attività, valutazioni riguardo all’odierno annuncio del vangelo, alla quotidiana esperienza di unità e fraternità ecclesiale, al servizio della gente tutta.
Proprio nell’attuale momento che richiede acuta ponderazione per un’innovativa progettazione.
In tale contesto, è interessante ricordare la tua riflessione proposta al clero venerdì 19 giugno scorso a Merine.
Quando hai parlato di pastorale che non si ferma alla celebrazione ma s’impegna alla seminagione della vita sacramentale, per superare forme di divario con l’esperienza quotidiana, e hai rilevato la necessità di attingere alla Patristica per recuperare la dimensione escatologica della Chiesa, chiamata ad essere realtà che trascende il semplice momento presente ed essere segno di Dio nella storia.
E con grande apertura, hai proposto pure una visione dinamica della vita sacramentale, la necessità di rimodulare l’attività pastorale promuovendo nuove sinergie e modalità di partecipazione, mediante una rinnovata guida delle persone e l’attuazione innovativa della pedagogia pastorale.
Senza piaggeria, con il consueto atteggiamento di tanti anni, eleviamo allora insieme l’intensa e festante lode al Signore. Auguri.