L’autorevole presenza a Lecce del cardinale malgascio Desirèe, accolto con calorosa gioia dalla comunità ecclesiale leccese insieme con il nostro arcivescovo, costituisce una tappa molto significativa per una maggiore apertura alla Chiesa universale e al mondo.
Si è rivelato un momento ecclesiale proficuo. Per entrare ancor più, da cristiani, nelle periferie del mondo. Per condividere più intensamente alcune situazioni di povertà. Per rinnovare la vita pastorale secondo il Concilio.
E formare comunità maggiormente attente ai poveri ed alle Chiese di missione.
Continuando nella già presente sensibilità di amorevole donazione (come non ricordare ad esempio mons. Oronzo Marzo, sacerdote fidei donum in America Latina già negli anni Settanta?), ma soprattutto accogliendo il deciso impulso ad aprirsi alla missionarietà chiesto da mons Michele Seccia.
Con un bagaglio di considerevoli esperienze missionarie in America Latina, Africa e Cina e con il messaggio d’inizio del ministero nel Salento, il nostro presule, infatti, ha invitato sacerdoti, seminaristi e laici ad allargare la loro apertura alla mondialità con momenti formativi nel Terzo Mondo.
“L’attività di solidarietà in Madagascar - attesta a tal proposito don Fernando Doria -
ha confermato tante scelte pastorali compiute e ancora da compiere. In tale contesto, io personalmente ricordo i primi dieci anni di sacerdozio nella comunità di S. Rosa con don Vito De Grisantis, con l’esperienza delle piccole comunità di base e la feconda evangelizzazione di strada, grazie anche al cammino catecumenale che allora nasceva. Ripenso alla pastorale di strada vissuta sui marciapiedi, negli scantinati per due anni e sotto i porticati, in una chiesa-tenda nella parrocchia di S. Massimiliano Kolbe”.
La visita del cardinale ha contribuito, pertanto, ad allargare gli orizzonti del servizio ecclesiale.
Non perché nel Salento non ci sia bisogno di sevizio missionario: basta osservare la situazione di progressiva scristianizzazione; il contatto diretto con i territori di missione offre, però, la maggiore conoscenza della povertà, dell’urgenza della prima evangelizzazione e dell’utilità dei contatti con altre religioni.
Imparando così ad accostarsi alla a gente molto povera, a vivere con stile molto sobrio, ad operare concretamente a favore di chi sperimenta le diverse forme di sofferenza e a promuovere un rinnovato annuncio evangelico.