Mi chiamo Gianmarco Bezzi, ho diciannove anni e appartengo alla parrocchia di Santa Rosa in Lecce. Sono uno studente di filosofia, iscritto al secondo anno, presso l’Unisalento di Lecce.
L’anno passato, dopo diversi colloqui col mio padre spirituale, don Tony Bergamo e col mio parroco, don Damiano Madaro, ho deciso di vivere un’esperienza nuova. Da settembre mi trovo, infatti, a Roma, vivo con la piccola comunità dell'anno propedeutico presso il Seminario Romano Maggiore a San Giovanni in Laterano, per mettere in discussione, o meglio, utilizzando la grammatica popperiana, per cercare di falsificare la mia 'presunta' vocazione di speciale consacrazione alla Chiesa affinché essa stessa, la chiamata, con l’aiuto dei miei amici e soprattutto dell’Altro, si rafforzi.
La quotidianità che si vive è, potremmo dire, un’armonia di ritmi ben scansionati ma intensi: ogni giorno io, gli altri otto miei compagni di cammino e l’educatore, preghiamo insieme con la liturgia delle ore, celebriamo l'eucarestia e viviamo circa un’ora di orazione dinanzi al Santissimo.
La vita comunitaria non è, tuttavia, esclusivamente contemplativa in quanto seguiamo alcuni percorsi quali quello di greco, di formazione umana, di formazione spirituale, quello sul catechismo e quello sulla migliore conoscenza di se stessi. Nel frattempo però proseguo gli studi di filosofia, considero infatti lo studio non solo un impegno prettamente accademico, ma una forma di preghiera secondo la regola benedettina.
Il tempo che sto trascorrendo qui non è dunque esclusivamente uno step che la Chiesa propone ai ragazzi che si sentono chiamati da Dio in maniera particolare, bensì un kronos, ossia un tempo, durante il quale ogni singolo ragazzo si propone e cerca di migliorare il proprio essere cristiani in un mondo intriso di relativismo e tecnocrazia. Per dirlo altrimenti, il propedeutico è un tentativo di rientrare in sé stessi per comprendere meglio cosa fare della propria esistenza. Il mio soggiorno romano può essere considerato sia una conversione agostinianamente intesa sia una methànoia, ossia come impegno per migliorarsi.
Ritengo la mia esperienza estremamente positiva poiché ha contribuito a delineare nella mia mente l’idea di una Chiesa universale e non solo particolare, come spesso avviene all’interno delle proprie comunità, e, al tempo stesso, di Chiesa non solo orante, ma anche una Chiesa che ti insegna a maturare nella vita di fede e nella vita di comunità.