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Don Gianni Ratta, direttore dell’Ufficio missionario diocesano ha sintetizzato per Portalecce - evidenziandone i passaggi principali - un articolo di don Armando Matteo, pubblicato da “Missio Italia” sui temi della Giornata missionaria mondiale. Don Matteo è sottosegretario aggiunto della Congregazione per la dottrina della fede, professore di teologia fondamentale alla Pontificia Università Urbaniana di Roma e direttore della rivista “Urbaniana University Journal”.

 

 

 

Cosa testimoniamo al mondo noi che crediamo in Gesù di Nazareth? Qual è il centro della testimonianza di noi cristiani? Qual è la profezia decisiva del nostro essere uomini e donne della Chiesa di Cristo?

Ritengo che la specificità del nostro credere da cristiani abbia a che fare essenzialmente con una conversione dello sguardo e precisamente con la nostra capacità di assimilare il modo di “vedere” che fu proprio di Gesù: di fare nostre cioè la traiettoria e l’intensità con cui Gesù ha visto (e ha insegnato a vedere) Dio, il mondo e sé stesso. Di fare nostri i suoi occhi. La testimonianza e la profezia dei cristiani è allora, innanzitutto, vedere Dio come Gesù l’ha visto.

 

DIO È PADRE

Vedere come Gesù significa accogliere la buona notizia che è al centro del Vangelo e cioè la rivelazione della paternità divina.

Ogni volta, dunque, che cerchiamo l’altro - o ci lasciamo cercare - come l’unica cosa amabile del mondo, l’unica realtà che può dare significato ad un’esistenza, il rischio è di innescare circoli viziosi di illusione e delusione. A tal fine Gesù puntualizza l’ordine con cui l’amore va esercitato.

È Dio che va amato per primo, perché è da Lui - dalla sua paternità - che possiamo ricevere vero riscontro della bontà del nostro essere e così poter andare generosamente incontro all’altro e lasciare che l’altro venga incontro a noi senza dovere accedere ad alcun ricatto per ottenere il nostro amore.

Amare, del resto, indica esattamente l’accoglienza dell’altro nella sua differenza ed il lasciarsi accogliere da altri nella propria differenza, sapendo appunto che anche l’altro è indirizzato fondamentalmente a Dio, e che è da Lui, non da noi, che potrà ricevere la garanzia essenziale circa la bontà della sua vita che sola gli farà benedire il suo stare al mondo.

La prima forma di testimonianza, allora, che i cristiani sono chiamati a esprimere, vivendola ovviamente, è esattamente questa della loro fede in un Dio che è padre: che è padre di ciascuno e perciò di tutti; che è padre e dunque radice ultima della comune umanità che stringe tutti in un medesimo destino di vita buona.

L’amore tra gli umani trova perciò il suo sostegno e la sua garanzia nell’amore che ciascuno e ciascuna saprà riconoscere a colui che Gesù ci ha mostrato essere il Padre di tutti.

 

POSSIAMO FARE SEMPRE MEGLIO

Alla prima fondante e fondamentale conversione dello sguardo in cui principalmente consiste la fede cristiana ne segue una seconda: quella che comporta un modo diverso di vedere il mondo.

È essenziale, per il pensiero e per la prassi cristiana, guardare al mondo non solo nella sua data fattualità, ma anche nella sua possibilità, non solo dunque per ciò che è ma anche per ciò che può diventare. Per Gesù la “salvezza” del mondo passa attraverso l’impegno per la costruzione del regno di Dio, segno e sogno di un’umanità che non si regge sulla collusione di alcuni contro altri, che non sfrutta la debolezza dei molti a vantaggio dei pochi, ma è segno e sogno di un’umanità che tenta, al contrario, strade di riconciliazione in nome dell’unica paternità divina e che desidera condividere il mondo secondo progetti di equità e di autentica giustizia. La parola del regno di Dio inaugura e annuncia la possibilità di un essere altrimenti umani che tocca ogni uomo ed ogni donna della terra.

La parola del Regno annuncia che a nessuno dovrebbe essere negato il desiderio di cose davvero belle, piene, gratificanti, consonanti con i ritmi più profondi del cuore. A nessuno dovrebbe essere negata la possibilità di una contentezza del proprio essere al mondo, a nessuno dovrebbe essere consentito di addurre ragionevoli e fondati motivi per maledire la propria esistenza. Ecco il regno di Dio in presa diretta: esso è la radicale possibilità di immaginare un mondo diverso, un mondo semplicemente più umano. Di questo, propriamente di questo, sono testimoni e profeti i credenti in ogni tempo: guardare Dio come padre e guardare il mondo alla luce del Regno.

Nella sua vicenda storica, Gesù scommette tutto su tale opportunità di un mondo sempre più umano: si compromette sino in fondo con essa e alla sua luce giudica le istituzioni, civili e religiose del proprio tempo, a volte complesso di violenza e di ingiustizia, di abusi e di ricatti, e per questo il Maestro di Nazaret inaugura una nuova fraternità e sororità tra gli uomini e le donne della terra

Qui si radica il senso ed il compito dei credenti di ogni tempo: testimoniare ed essere profetici annunciatori che altri – ed in linea di principio tutti – possono ancora oggi incontrare il maestro di Galilea dentro le pagine del libro santo dell’Evangelo e venire aggregati a coloro che non si stancano di ascoltare il sogno del giovane rabbì: il sogno del regno di Dio, appunto. Il sogno di un mondo sempre più umano.

E questo lo compiono anche con la testimonianza concreta di ciò che Enzo Bianchi ci ha insegnato - diversi anni fa - a nominare come la differenza cristiana: «la comunità cristiana è chiamata a vivere una differenza nella qualità delle relazioni, divenendo quella comunità alternativa che […] esprima la possibilità di relazioni gratuite, forti e durature, cementate dalla mutua accettazione e dal perdono reciproco. È la “differenza” cristiana, una differenza che chiede oggi alle chiese di saper dare forma visibile e vivibile a comunità plasmate dal vangelo».

I cristiani, pertanto, saranno veramente testimoni e profeti nel nostro tempo, nella misura in cui si impegneranno a dare generosamente forma a comunità che respirino e lascino respirare il profumo liberante e consolante del Vangelo, profondamente attraversate dall’interesse verso il Regno piuttosto che all’autopromozione e autoconservazione.

 

CITTADINI DELLA PATRIA FUTURA

La terza conversione dello sguardo, in cui si realizza ogni autentica esperienza di fede cristiana e che sostanzia la testimonianza e la profezia dei battezzati, ha a che fare con l’immagine che il soggetto umano ha di sé stesso. Si tratta di imparare a vedere il proprio essere umani con gli occhi di Gesù. E questo non è cosa da poco.

I credenti propongono la parola del Vangelo quale straordinaria scuola di una vera ed autentica prassi di benevola ospitalità nei confronti di sé stessi e del mondo in Dio.

Ciascuno può e deve impegnare sé stesso con molta generosità in ciò che compie. I credenti testimoniano e danno riscontro concreto a quella verità annunciata da Gesù per la quale la verità di/su ciascun uomo e donna della terra reca il sigillo del futuro, il crisma dell’incontro definitivo con Dio, cui rinviare ogni giudizio ultimo su sé stessi e sulla storia.

Non a caso il Vangelo richiama costantemente agli uomini la fondamentale verità che questo mondo non è il paradiso, il punto finale della nostra storia e che non vi è nulla in esso che abbia il sapore della definitività.

Per concludere, ricordiamo il numero 18 della Lumen fidei, di Papa Francesco: «Nella fede, Cristo non è soltanto Colui in cui crediamo, la manifestazione massima dell’amore di Dio, ma anche Colui al quale ci uniamo per poter credere. La fede, non solo guarda a Gesù, ma guarda dal punto di vista di Gesù, con i suoi occhi: è una partecipazione al suo modo di vedere. La vita di Cristo apre uno spazio nuovo all’esperienza umana e noi vi possiamo entrare. La fede cristiana è fede nell’Incarnazione del Verbo e nella sua Risurrezione nella carne; è fede in un Dio che si è fatto così vicino da entrare nella nostra storia. La fede nel Figlio di Dio fatto uomo in Gesù di Nazaret non ci separa dalla realtà, ma ci permette di cogliere il suo significato più profondo, di scoprire quanto Dio ama questo mondo e lo orienta incessantemente verso di Sé; e questo porta il cristiano a impegnarsi, a vivere in modo ancora più intenso il cammino sulla terra».

La Chiesa di Lecce si ritroverà in preghiera per la Veglia missionaria presieduta dall’arcivescovo Michele Seccia, giovedì 21 ottobre alle 19,30 nella chiesa matrice di Trepuzzi.

 

 

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