Prende il via oggi la terza tappa della Visita Pastorale dell’arcivescovo Michele Seccia nella città di Monteroni di Lecce. Per conoscere meglio la comunità del Sacro Cuore di Gesù, abbiamo intervistato il parroco, don Elio Quarta.
Don Elio, quale realtà sociale e parrocchiale troverà l’arcivescovo venendo in visita pastorale a Monteroni nella tua comunità parrocchiale?
La nostra comunità parrocchiale è giovane sia in riferimento alla istituzione canonica, sia riguardo al tessuto sociale: si tratta di famiglie che hanno cominciato a popolare questa porzione di periferia tra gli anni ’60 e ’70 del secolo scorso ed è, a tutt’oggi, in fase di espansione. Abbiamo diverse famiglie giovani e una comunità abbastanza vivace, grazie anche al lavoro dei parroci che mi hanno preceduto. Insieme alle tante potenzialità ci sono le fragilità che sempre più spesso accompagnano le giovani famiglie, soprattutto dal punto di vista lavorativo e sempre più spesso anche sul piano affettivo.
Su un piano globale la città di Monteroni ha sempre avuto una certa vivacità intellettuale e spirito iniziativa e di programmazione, nel corso degli anni ha saputo risollevarsi, almeno in parte, da problemi sociali piuttosto rilevanti. Tuttavia, nonostante una certa ricchezza di realtà associative, spesso l’individualismo limita notevolmente le potenzialità e riduce i frutti sperati dall’impegno profuso. Per cui si fatica a lavorare in rete, nonostante i dichiarati propositi di collaborare in unità di intenti.
Quali sono i punti di forza e le fragilità più evidenti della tua comunità nei tre ambiti di liturgia, catechesi e carità?
Georges Benanos, nell’incipit del famoso “Diario di un curato di campagna”, scrive: “La mia parrocchia è una parrocchia come tutte le altre. Si rassomigliano tutte. Le parrocchie d’oggi, naturalmente”. Come accennavo devo ringraziare innanzitutto i parroci che mi hanno preceduto. Naturalmente, si lavora raccogliendo i frutti del lavoro di chi ha preceduto e si semina, nella consapevolezza dei propri limiti, con la consapevolezza di fede che altri potranno raccoglierne i frutti. Richiamando San Paolo: uno semina, uno dissoda il terreno e un altro raccoglie, ma è sempre il Signore che fa crescere e dona frutti di vita. In questi anni si è lavorato molto sulla formazione e sulla cura delle varie celebrazioni liturgiche, sul coinvolgimento di famiglie e ragazzi nei vari momenti e iniziative della catechesi. Dopo un momento bello e ricco di vivacità, la pandemia ha lasciato il segno. Si tratta adesso di riallacciare quei fili di dialogo che formano il tessuto della comunità. Andare a trovare le famiglie, essere vicino nei momenti difficili, quando il dolore e la sofferenza feriscono. Sempre San Paolo sottolinea l’operosità della fede, la fatica della carità e la fermezza della speranza. Dopo la tempesta e l’isolamento prudenziale bisogna sperimentare l’empatia, il farsi prossimo, con discrezione. Tutto ciò richiede tempo e ascolto, passione educativa. E spesso si tratta di andare in direzione ostinata e contraria rispetto alla mentalità veloce accattivante in cui viviamo, che baratta la quantità di informazioni con la profondità della riflessione. Si arriva facilmente, cioè, a molte informazioni, ma in modo talmente veloce e superficiale che non si ha la possibilità di riflettere e di filtrare il vero dal falso, il gossip dalla conoscenza effettiva e significativa delle situazioni. Potrei raccontare di catechiste che dedicano tempo e impegno, con tutto il cuore e con tutte le forze, di operatrici Caritas che puntualmente lavorano per la distribuzione, senza dimenticare di donare un sorriso. Va da sé, però che in senso più ampio ci sono povertà che richiedono premura e conoscenza. E sono sfide che disilludono quanti pensano che basta dare un pacco di viveri per sentirsi in pace con la coscienza. Ci sono poi le povertà educative, focalizzate in tante analisi e presentate come sfide e segni dei tempi dalla Chiesa italiana. Inutile negare che facciamo fatica: adolescenti che frequentano la catechesi parrocchiale unicamente in prospettiva dei sacramenti e, in ultima analisi, per togliersi il pensiero. Ragazzi impegnati su più fronti, con proposte anche utili e belle, ma spesso coincidenti negli orari agli incontri di catechesi. E genitori che seguono i loro figli, con indubbio affetto, ma anche con un senso di smarrimento rispetto alle priorità e a quello che è il senso di responsabilità verso i ragazzi stessi. E in prospettiva dei sacramenti, tra tanti luoghi comuni, occorre ripensare un cammino che, sia pure a piccoli passi, riporti verso una essenzialità evangelica che rispecchi il significato autentico di ogni dono di Dio. Allo stesso tempo però ci sono ragazzi che sanno coinvolgersi nella liturgia, nella solidarietà e responsabilità verso i più anziani: per lo più sono ragazzi terribili e incapaci di essere zitti e fermi negli incontri, ma in tutta onestà, li preferisco così. E anche parlando ai loro genitori ho avuto modo di riproporre quella alleanza educativa, l’unica in grado di dare punti di riferimento significativi e credibili a dei ragazzi e giovanissimi sottoposti a tutta una serie di sollecitazioni.
Che cosa vi attendete dalla visita Pastorale e quali sono gli obiettivi da raggiungere a breve e media scadenza?
La Visita Pastorale è stata pensata, voluta e programmata dal nostro arcivescovo, come momento di incontro autentico, da vivere con affabilità, per una conoscenza ancor più diretta che poi è segno dell’amore che ci muove e a cui siamo chiamati. L’eco del suo passaggio nelle parrocchie dove è stato finora parla della bellezza di questo incontro, della gioia reciproca del Pastore e della porzione di popolo che gli è affidata. Adesso tocca a noi: vivere questo momento come dono, spazio di dialogo di confronto, anche di risate probabilmente, perché no? Dietro la Vista poi c’è anche il lavoro di chi ne cura la preparazione e la effettiva realizzazione. Dietro ogni momento ci sono i vari aspetti correlati, e che fanno parte della vita di una parrocchia. Necessariamente la Visita è anche momento significativo per fare il punto della situazione, un momento di verifica della realtà, tocca a noi prepararci a questo incontro, in spirito di ascolto e con senso di responsabilità. Ascolto e responsabilità, con la fatica che comportano, sono sempre elementi imprescindibili per il cammino di una comunità. La presenza dell’arcivescovo dona un senso di completezza rispetto al nostro essere Chiesa, significa tanto già di per sé, poi apre un orizzonte più ampio sull’attività pastorale. Tocca a noi. In piena responsabilità, intesa nel senso di prendere a cuore, nello spirito di don Lorenzo Milani. Sabato sera un momento di riflessione e di testimonianza, scandito da passi di danza, ci riporterà alle parole di don Tonino Bello, espresse nella preghiera sul molo di Tricase: “Da soli non si cammina più”. E poi nella ancor più nota preghiera dell’ala di riserva. Ogni vita si porta delle fragilità e delle ferite, verso cui possiamo essere vicini prossimi, tendere la mano… stendere l’ala, semplicemente insieme. “Se non sai cosa fare delle tue mani, trasformare in carezze”. É il titolo dell’incontro-testimonianza, ma anche di un progetto, che parla sofferenza e di tenace amore per la vita, di un progetto da portare avanti a piccoli passi ma con la stessa tenace fiducia. Certo ci vorrà tempo, ma il tempo, appunto, è spazio di vita, quando poi la fede operosa illumina gli occhi, diventa preludio di vita eterna.