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C’è un carico di trepidazione nell’attesa e c’è una quota di nostalgia già nei saluti. Nella mattinata di ieri, 29 ottobre, ultimo atto della Visita Pastorale a Monteroni, L’arcivescovo Michele Seccia ha celebrato il battesimo di Roberta, dolce e sveglia bambina di otto anni.

 

 

È stata l’occasione per vivere una festa di famiglia, in senso stretto ed anche in senso ecclesiale. La curiosità dei bambini, certamente simile a quella dei loro genitori e degli altri ragazzi e adolescenti, è stata il terreno su cui sono germogliate emozioni, preghiera, voci e canti. Sin dall’inizio Roberta ha risposto al dialogo previsto dalla liturgia in modo garbato e disinvolto, senza timori reverenziali. Un senso di familiarità arricchito dalla rinnovazione delle promesse del battesimo, da parte dei suoi amici di catechismo, in quanto tappa programmata nel percorso della catechesi. I bambini hanno avuto modo di vivere un battesimo “originale”, che poi in realtà è il modo originario, con cui la Chiesa ha strutturato il rito del Battesimo vissuto da adulti e, dunque, in piena consapevolezza del significato e della vita nuova che ne scaturisce.

Tutto in continuità con l’incontro di sabato scorso. Testimonianze e preghiera vissute su passi di danza, per portare avanti la missione a promuovere, custodire e far crescere la vita, un incoraggiamento a rigenerarsi. Anche quando la strada diviene tortuosa e piena di curve e la missione richiede di vincere le paure e le chiusure, per sperimentare la bellezza di camminare insieme e di tendere le mani per sostenersi a vicenda. La luce che scaturisce dalla testimonianza di don Tonino Bello ha accarezzato la vita di tanti e continua ad illuminarla d’immenso, elevando lo sguardo verso un’alba nuova, oltre la notte. Ecco perché si è trattato di un incontro in stretta, naturale continuità con quello simile dell’anno scorso: stesse modalità, stesso insopprimibile amore per l’arte. Stesse interpreti, le ragazze di Danzarte, la scuola di danza, e non solo di danza, di Terlizzi. Artiste a tutto tondo, in grado di esprimersi a un livello professionale altissimo, ma soprattutto capaci di esprimere un valore aggiunto, di rivolgersi alla parte più preziosa della nostra sensibilità, disporre alla meraviglia, fin sulla soglia dell’infinito, e aprire alla preghiera, con tutto se stessi, spirito anima e corpo. È così che le note di una musica e il coordinamento dei passi e delle movenze, divengono strumento per riconciliarsi con la bellezza, così come è uscita dalle mani del Creatore e, in ultima analisi con la vita, come dono di Dio.

Unico tema, insomma, espresso in forme diverse. Con la speranza, anzi con la certezza di fede, che quanto seminato nel cuore dei presenti e testimoniato dal cuore dei credenti non mancherà di portare frutto.

Tre giorni vissuti in un clima generale di gioiosa serenità, per l’arcivescovo, che ha potuto incontrare gruppi e persone con l’affabilità e amabilità che gli sono propri e che in molti hanno avuto modo di sperimentare. Gioiosa serenità per gli ammalati, che hanno sentito la sua vicinanza e dalla particola dell’Eucaristica hanno ricevuto un frammento di forza. Gioiosa semplicità dei bambini, che hanno potuto rivolgere le loro domande; quelle più “a tema” del tipo: “Come hai ricevuto la vocazione?”, quelle biografiche: “Eri bravo a scuola?” e quelle più simpatiche, riguardo i gusti personali: “Ti piace la pizza?”. Gioiosa condivisione di adulti e famiglie, certamente incoraggiati a vivere con maggiore intensità la propria appartenenza alla Chiesa e alla comunità parrocchiale.

La quota di nostalgia sta nel rendersi conto che quelli vissuti in quest’ultima giornata sono gli ultimi momenti di emozione e intensità da vivere con il pastore, nella pienezza dell’essere comunità.

Fissando lo sguardo sul futuro prossimo e sulla programmazione di quest’anno pastorale già ampiamente avviato, può essere utile riferire dello spontaneo impaccio della piccola Roberta, che accostandosi all’arcivescovo per salutarlo, prima della messa, si è resa conto di una ingenua dimenticanza e, portandosi la mano alla fronte, ha detto: “Ho dimenticato il disegno…”, il proprio particolare modo di esprimere familiarità e gratitudine al presule, un disegno pensato e realizzato per lui, rimasto inevitabilmente a casa, nel viavai dei preparativi prima di uscire per recarsi in chiesa.

È stata rassicurata dalla promessa che andrà a portare il suo dono direttamente a casa del Vescovo, alla prima occasione possibile, nella continuità di un clima di familiarità.

Vale per tutti: ci possono essere mancanze e dimenticanze, sono da mettere sempre in conto, ma si cammina con impegno: la Visita Pastorale è riferimento a cui ispirarsi, in linea di continuità. Tutta intera la comunità continuerà a camminare “raccontando” della Visita Pastorale passata, di un clima di familiarità da poter vivere insieme quotidianamente e nel futuro prossimo, accolti nella Chiesa, non solo nell’edificio, capaci di accoglienza, nella reciprocità di ritrovarsi insieme, con consapevolezza di fede che siamo veramente e pienamente chiesa, non da soli, - da soli non si cammina più - ma uniti in sintonia e in comunione con l’arcivescovo.

Egli non è un principe che va a ispezionare le parrocchie, ma una persona che ha ricevuto dal Signore un dono e un compito grande, che include tante persone, un popolo intero, da guidare sulle strade tracciate dalla volontà di Dio. Un uomo che eccelle, non per il titolo onorifico, ma per la disponibilità a tendere le mani per farsi prossimo, per tradurre in stile di vita le parole del Vangelo di questa domenica, riferite al comandamento grande e primo: Il comandamento dell’amore. Amare Dio soprattutto e prima di tutto, con tutto sé stessi e il prossimo come sé stessi. E noi, popolo affidato alle sue cure, sappiamo, una volta ancora, che ci vuole bene e ci porta nella sua preghiera davanti al Signore. Così abbiamo “osato” salutarlo tutti insieme: “don Michele, ti vogliamo bene!”.

 

Photogallery: Fotovideolife - Monteroni di Lecce

 

 

 

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