La corruzione, dice Papa Francesco, evocando il suo dialetto piemontese, “spuzza”. La cronaca, locale e nazionale, non manca mai di riferimenti alle tante puzze della corruzione. Il malaffare, in questi giorni a Lecce, puzza di corruzione elettorale, abuso d'ufficio e falso ideologico, scambi illeciti, case popolari promesse e barattate, prestazioni sessuali e via discorrendo.
Ovviamente spetta alle forze dell’ordine e ai magistrati configurare accuratamente i reati e individuare i responsabili. Alla classe politica e alla società tutta, specie a chi ha funzioni educative come la comunità cristiana, la scuola e l’università, spetta interrogarsi per capire e sanare questi settori marci. A tutti spetta il compito di fare pulizia perché la casa comune non “spuzzi”.
Condannare la corruzione, infatti, non basta, si tratta anche di capire. Per farlo occorre collegare alcuni fili importanti. Innanzitutto quello degli affari. Nei corrotti esiste un denominatore comune: arricchirsi comunque e dovunque. E oramai anche il potere spesso è in funzione del denaro, raramente viceversa. Bisogna imparare a collegare soggetti e situazioni; a non trascurare che il guadagno facile tenta e irretisce molti: gente comune come, soprattutto, politici, professionisti, docenti, pastori, educatori, pubblici dirigenti, imprenditori, magistrati, forze dell’ordine, operatori culturali e del volontariato. Ciò non vuol dire assolutamente che siamo tutti corrotti, ma solo che la corruzione è un dato trasversale che, dove più dove meno, tocca tutte le istituzioni e i settori sociali.
In molti ambienti, per diverse cause sono ridotti al lumicino principi morali quali l’onestà, la giustizia, il rispetto delle istituzioni, il vivere del proprio onesto guadagno, la sobrietà. Gli stessi credenti spesso riducono il messaggio evangelico alla sola morale familiare e sessuale, dimenticando tutti gli obblighi di giustizia. Su questo terreno degradato i corruttori di professione operano con diversi mezzi. Prima di tutto prendendo per la gola degli interessi vitali, specie lavoro, casa, sussidi e sicurezza di vita. E poi operando su un piano culturale, alimentando cioè la mentalità pubblica e privata che considera questi reati non così gravi, anzi ineliminabili e necessari.
In questo quadro morale e culturale ben solidificato, il combattere la corruzione è una vera impresa. Innanzitutto personale: la coscienza di ognuno se formata e ascoltata non porta solo a opporsi ma anche a pagare la coerenza con i nostri sani principi morali. Poi sociale e politica: la corruzione si sconfigge ritornando a interessarsi della cosa pubblica. Sono in ballo denaro e interessi comuni. Se ci vengono rubati o negati non possiamo ancora dire che “non ci interessiamo di politica” perché per dirlo bisogna essere o sciocchi o incoscienti, visto che i danni della cattiva politica li pagano i cittadini onesti, mentre i disonesti si stanno arricchendo con essa.
Certamente resistere ad un sistema corrotto non è facile. Ci vuole molta forza per non sporcarsi le mani. Ed è difficile negare che la forza viene a mancare specie quando si scopre che la corruzione investe tutti i settori: dalla sinistra alla destra politica passando per il centro, dallo sport alle comunità religiose, dall’università al terzo settore, dalla burocrazia alle organizzazioni internazionali. Come anche quando si scopre che chi doveva dare l’esempio è peggiore degli altri e spesso ha tanto contribuito al dilagare della corruzione con la propria pessima professionalità e vergognosa immoralità. Eppure resistere è possibile. Lo hanno dimostrato in tanti, uomini e donne di diverse culture e fedi religiose.
*docente di Filosofia Politica presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma e autore, con Francesco Giannella di “La Corruzione: attori e trame”, Mimesis 2018 (LEGGI RECENSIONE)