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Portalecce volentieri ripropone l’articolo apparso lo scorso 2 luglio su “Nuovo Quotidiano di Puglia” a firma del vescovo di Ugento-Santa Maria di Leucamons. Vito Angiuli.

 

 

 

Il pronunciamento della Corte Suprema degli Stati Uniti d’America circa l’abolizione della sentenza “Roe vs Wade”, che per quasi mezzo secolo ha consentito l’aborto, ha ripristinato il diritto costituzionale di ogni singolo Stato federale Usa di decidere in merito a questa questione come accade per altri temi particolarmente significativi. La sentenza della Corte, tuttavia, ha suscitato un vespaio di polemiche negli Stati Uniti e nel mondo. A ben vedere, il cambiamento di rotta potrebbe aprire il dialogo tra persone con giudizi diversi per il riconoscimento sociale della maternità e il diritto alla vita.

In un clima fortemente conflittuale e polemico, forse è utile riproporre la pacata riflessione di un filosofo laico, studioso di diritto come Norberto Bobbio (1909-2004). Nell'introdurre il suo libro più noto L'età dei diritti, egli ha affermato che i diritti umani costituiscono «uno dei principali indicatori del progresso storico»1. Cinque anni dopo, nel 1995, ha sottolineato che esiste una differenza fra il progresso scientifico e il progresso morale e ha rilevato la distanza che intercorre «tra la nostra sapienza di indagatori del cosmo e il nostro analfabetismo morale»2.

Nella sua sistematica riflessione, Bobbio ha esplicitamente riconosciuto l’impossibilità della legittimazione teorica dei diritti perché, a suo giudizio, è impossibile rinvenire un «fondamento assoluto». In primo luogo, perché la «natura dell'uomo» si rivela un punto d'appoggio molto fragile e, pertanto, si tratta di diritti mal definibili. In secondo luogo, perché i diritti dell'uomo mutano storicamente. In terzo luogo, perché sono eterogenei, e in molti casi esprimono pretese incompatibili: i diritti fondamentali di determinati soggetti collidono con i diritti fondamentali di altri soggetti. Anzi, in alcuni casi, «si rileva un'antinomia fra i diritti invocati dagli stessi soggetti». Pertanto, «due diritti fondamentali ma antinomici non possono avere, gli uni e gli altri, un fondamento assoluto»3.

Questo esito paradossale è proprio quello che riguarda il caso dell’aborto. Alcuni giorni prima del Referendum del 17 maggio 1981 circa l’eventuale abrogazione della Legge 194, Bobbio rilasciò un’intervista a Giulio Nascimbeni. Pubblicata l’8 maggio sul “Corriere della Sera”, suscitò una vivace discussione. Vale la pena di riproporre le risposte dello studioso torinese perché il dibattito superi le strettoie di una questione religiosa e attraversi le coscienze di tutti. Riporto l’intervista mettendo tra virgolette le parole di Bobbio.

A suo giudizio, l’aborto si presenta come un tema difficile perché pone «un conflitto di diritti e di doveri». Entrano in gioco, infatti, il diritto alla nascita del concepito, il diritto della donna a «non essere sacrificata nella cura dei figli che non vuole», il diritto delle società «a non essere super popolate, e quindi a esercitare il controllo delle nascite». Si tratta di tre diritti «incompatibili» fra loro, con la differenza però che mentre il diritto del concepito è «fondamentale», quelli della donna e della società sono «derivati». Infatti «il diritto della donna e quello della società, che vengono di solito addotti per giustificare l’aborto, possono essere soddisfatti senza ricorrere all’aborto, cioè evitando il concepimento. Una volta avvenuto il concepimento, il diritto del concepito può essere soddisfatto soltanto lasciandolo nascere».

D’altra parte, «il fatto che l’aborto sia diffuso, è un argomento debolissimo dal punto di vista giuridico e morale». E aggiungeva: «Mi stupisce che venga addotto con tanta frequenza. Gli uomini sono come sono: ma la morale e il diritto esistono per questo. Il furto d’auto, ad esempio, è diffuso, quasi impunito: ma questo legittima il furto? Si può al massimo sostenere che siccome l’aborto è diffuso e incontrollabile, lo Stato lo tollera e cerca di regolarlo per limitarne la dannosità. Da questo punto di vista, se la legge 194 fosse bene applicata, potrebbe essere accolta come una legge che risolve un problema umanamente e socialmente rilevante». Di fronte poi alla domanda circa il clamore che la sua posizione avrebbe suscitato, Bobbio rispose: «Vorrei chiedere quale sorpresa ci può essere nel fatto che un laico consideri come valido in senso assoluto, come un imperativo categorico, il “non uccidere”. E mi stupisco a mia volta che i laici lascino ai credenti il privilegio e l’onore di affermare che non si deve uccidere».

In definitiva, la lezione di Norberto Bobbio appare come un concentrato di onestà intellettuale, di intelligente analisi dei diritti e di attenzione discreta alle opinioni altrui. Un esempio da imitare. Come ha fatto il “Forum delle associazioni familiari di Puglia” quando, inviando nello scorso mese di giugno una lettera alla giunta e al consiglio regionale di Puglia, ha auspicato l’applicazione integrale della Legge 194/78. Anche perché, ha sottolineato il Forum, «siamo di fronte a una crescente privatizzazione del fenomeno abortivo che contraddice la legge che lo regola, che parla invece di tutela speciale della maternità; ciò appare particolarmente grave in tempi di drammatica denatalità come quella pugliese». L’auspicio è che il legislatore ascolti tutte le voci in vista di un dialogo sereno e un confronto costruttivo.

1 N. Bobbio, L'età dei diritti, Torino, Einaudi, 1990, 3° ed. 1997, p. VIII.

2 Id., "Progresso scientifico e progresso morale", in Etica e politica, a cura di M. Revelli, Milano, Mondadori, 2009, p. 658.

3 Id., L'età dei diritti, cit., p. 13.

 

Forum Famiglie Puglia