Nelle settimane successive alle dimissioni del presidente Draghi il sole ha continuato a sorgere, esattamente nell’ora prevista per ciascun giorno, senza patire variazioni sensibili.
I fiumi, in secca già da prima, pur con la scarsa acqua disponibile hanno proseguito il loro corso dalle sorgenti alla foce (tutti, nessuno escluso); i cinghiali non hanno smesso di pascolare per le strade di Roma; il parroco della chiesa vicino a casa mia non ha cessato di dedicare le omelie domenicali, invece che al Vangelo, al rendiconto delle offerte raccolte… Insomma, nonostante i presagi di sventura di larga parte dei media nazionali e internazionali, per i quali la caduta del ‘Governo dei migliori’ sarebbe coincisa con qualcosa che neanche il più catastrofico mix di ‘profezie’ Maya avrebbe fatto immaginare, la vita è andata avanti egualmente, come nei giorni precedenti: perfino indici assai sensibili alla percezione di peggioramenti, come quelli della Borsa o come lo spread, dopo un iniziale, ma non travolgente, scostamento, si sono assestati.
MORTO UN PAPA SE NE FA UN ALTRO
Se vale per Santa Romana Chiesa che ‘morto un Papa se ne fa un altro’, può ammettersi che, terminata l’esperienza di un esecutivo, celebrati i riti della sua dipartita, tessute le inesauribili doti dell’estinto, si formi un altro governo, dopo quel non marginale passaggio, previsto dalla Costituzione, del voto espresso dagli elettori. O no? Per carità, quell’assistenza dello Spirito Santo che invocano i cardinali quando in conclave eleggono il nuovo Pontefice, non è egualmente garantita - e ahimè, nemmeno generalmente chiesta - per gli italiani che si recano alle urne: e se ne vedono i risultati! Ma questo dovrebbe valere per ogni cambio.
E invece per l’Italia che si approssima al voto la vulgata mediatica che prevale è un’altra, così riassumibile: premesso che il Governo uscente, benedetto dalle istituzioni Ue, dalla Casa Bianca, e da coloro che contano, avrebbe dovuto proseguire fino alla scadenza ordinaria della legislatura, e che quindi fermarlo è stato un peccato mortale, non è detto che il suo profilo sia scomparso all’orizzonte. Nel senso che - continua il racconto - la preferenza che gli italiani esprimeranno in modo presumibilmente difforme dagli editorialisti più illustri fa intravvedere, forse dopo la concessione di una esperienza, purché breve, di un esecutivo coerente col voto manifestato, la necessità di nuova compagine ‘tecnica’, con sostegno parlamentare ampio, modello Draghi, o modello Monti, chiunque sia il ‘tecnico’ di turno che sarà chiamato alla guida. Il messaggio sotteso a questa - per usare un termine trendy - ‘narrazione’ è che siamo liberi di votare chi ci pare, ma il consenso che diamo pesa zero se non votiamo come establishment comanda: quindi tanto vale da subito orientarlo altrove. Magari verso un’agenda che raccolga le ceneri e l’eredità, e quindi prosegua il lavoro, del caro politicamente estinto.
Un percorso simile è ineluttabile o ci sono margini per scongiurarlo? Intendiamoci, nessuno sottovaluta i limiti cui oggi è assoggettato un Governo nazionale, soprattutto all’interno della UE; ma, fermi restando i confini formalizzati e non superabili derivanti dai trattati europei, o dall’adesione a organismi internazionali, rispetto ai quali è velleitario fare proclami, il passato recente e meno recente, non soltanto italiano, insegna che si può stare in Europa senza accondiscendenza a quel che invece non è così scontato, e anzi può essere oggetto di trattativa. Si pensi, per tutti, ai margini operativi che esistono in tema di immigrazione, se si decide di passare dall’inconcludente verbosità di tanti vertici a una intelligente e decisa operatività.
LE QUESTIONI RIMASTE SUL TAVOLO
Sul piano nazionale, gli ostacoli derivano dal mal funzionamento di istituzioni cruciali, in primis il Parlamento. La prossima legislatura presenterà da subito l’urgenza, non avvertita dalle Camere ormai sciolte, di modificarne i regolamenti, dopo il taglio secco di un terzo della loro composizione: se le Commissioni permanenti restano le stesse sarà complicato garantire al loro interno una maggioranza e una opposizione bene identificabili; al Senato, per es., saranno formate da appena 16-17 componenti. E questo rischia di bloccare l’iter dei provvedimenti in esame già nella fase della loro istruttoria.
La questione giustizia è rimasta in piedi in tutti i suoi irrisolti snodi cruciali: il battage mediatico favorevole alle pseudo riforme volute dal Governo Draghi nasconde per un verso il nulla da esso prodotto su separazione delle carriere, giudizio disciplinare dei magistrati, accesso alla funzione e progressione in carriera - quel che attiene all’efficienza e alla imparzialità dei protagonisti della giurisdizione -, per altro verso l’avvenuta introduzione di norme, come l’improcedibilità in appello, il cui dirompente effetto negativo si manifesterà fra breve. Su tutto incombe il perdurante e mai contrastato straripamento della giurisprudenza, ordinaria e amministrativa, sui terreni delle altre istituzioni, con opzioni preminentemente politiche esercitate da chi indossa la toga.
Gli stessi investimenti del Pnrr esigono revisioni profonde, per i mutamenti di scenari derivanti dal conflitto ucraino, e per obiettivi poco centrati nella finalizzazione degli investimenti.
Non è una sfida impossibile per il Governo che verrà: è semplicemente difficile e complessa. Andrà affrontata rimettendo a posto la ‘narrazione’, anche quella riguardante il Governo che andrà via con l’estate: che non ha impedito i rincari delle fonti energetiche, l’incremento dell’inflazione, la rassegnazione di fronte ai flussi migratori irregolari, il cedimento a più d’una corporazione, in primis quella delle toghe. È possibile fare di meglio, e di più: per una volta in coerenza - che scandalo! - con la volontà degli elettori. La scommessa vera sarà rispettare il mandato elettorale con modalità finalmente serie e concludenti.
*da Tempi mensile, agosto 2022