Il recente anniversario del Codice di Camaldoli (luglio 1943) ha riportato all’attualità il tema del rapporto tra cattolici e politica.
La domanda difficilissima, con risposta quasi impossibile, è se in Italia ci sia ancora un cattolicesimo politico e se goda di buona salute. Certamente apparteniamo a un Paese e a una Chiesa cattolica nazionale che ha detto e fatto molto in termini di testimonianza e attività politiche di ispirazione cattolica. Non c’è stata solo la Dc, ci sono stati i cattolici impegnati nel sindacato, nel mondo sociale e dei volontari, sindacale, economico e culturale. Ci sono ancora? Ovviamente si. Ma possono oggi definirsi come un filone culturale e politico che incide nel tessuto del Paese, come, per esempio, nel secondo dopoguerra, di cui il celebrato Codice ha rappresentato un punto di partenza importante?
A questa domanda risponderei con un no. E la causa principale, a mio modesto parere è un deficit di coraggio: intendo prima di tutto il coraggio di accettare la situazione complessa (e spesso complicata) della politica italiana, senza nostalgie del passato. Nessuno può negare le valide testimonianze di quei cattolici che con coscienza, competenza e sacrifici hanno contribuito a costruire il Paese (tutti, noti e non noti). Ma il loro tempo è passato; il mondo va avanti, nel bene e nel male.
La nostalgia non aiuta; anzi diventa deleteria quando, in maniera spesso camuffata da nuove sigle e strategie, è l’imperitura voglia di ricostituire la Democrazia Cristiana. Un mese sì e l’altro pure c’è qualcuno che dice e si adopera perché i cattolici siano (tutti) insieme in un partito (o movimento o associazione). Proprio non va giù quanto il Vaticano II, Paolo VI, Francesco abbiano detto chiaramente: si può essere cattolici e operare in schieramenti politici diversi, purché si sia, sempre e comunque, coerenti con la propria fede. Allora ci vuole il coraggio di guardare in faccia questo (non quello passato) mondo politico, accettarlo e cercare di annunciare in esso e ad esso il Vangelo, senza fare alchimie per riconquistare poteri culturali e istituzionali ormai perduti. Non a caso la nostalgia della Dc va di pari passo con la nostalgia della voglia di potere che questi cattolici hanno, che a poco a che fare con gli evangelici lievito nella massa e spirito di servizio.
Necessitiamo anche di coraggio nell’abbandonare le forme di cattolicesimo clericale. La Chiesa cattolica italiana ha fatto molta fatica nell’accettare la fine della Dc (con tutti i suoi pregi e i suoi difetti). È un po’ sotto gli occhi di tutti come, dagli anni ’90 in poi, la Chiesa cattolica italiana - fatte salve nobili eccezioni nelle persone di alcuni pastori e fedeli laici - abbia preferito concentrarsi, in termini di riflessione e annuncio, più sui temi relativi all’etica personale e familiare che su quelli sociali, politici ed economici, come corruzione e mafie, abusi su minori e donne, povertà, migrazioni, ambiente, economia solidale e così via.
Di qui uno dei motivi del contrasto con Papa Francesco, il quale è molto chiaro e profondo sul ruolo di una Chiesa aperta al mondo, che annuncia e incarna un Vangelo di giustizia e carità. Il modello di Chiesa dominante in Italia non solo è spesso lontano dalle proposte dell’attuale Pontefice, ma continua a circondarsi di laici clericali, spesso yesman protesi a battaglie ideologiche e difesa di privilegi ecclesiali, simpatizzanti di aree tradizionaliste e populiste, bigotte e reazionarie. Prova di tutto questo sono anche il fatto che questi temi raramente sono stati affrontati nel cammino sinodale. E l’altra prova è il fatto che quando si affrontano di profetico c’è ben poco: interventi fatti con il bilancino delle parole, con la paranoia di non offendere i governanti di turno (nazionali o locali, di sinistra o destra che siano).
Ma dove è finito, nella Chiesa italiana, il coraggio della profezia, la prassi della parresia nel nostro rapporto con il mondo sociale e politico? Una grande responsabilità, in materia, ce l’hanno preti e vescovi, molte volte autori di silenzi assordati sulle grandi emergenze del nostro Paese (eccetto quelle di bioetica ed etica familiare o di sussidi alla comunità ecclesiale) o, ancora peggio, loquaci e solidali solo con gli ambienti con derive populiste e fasciste e non curanti di coloro che, con tutti i limiti possibili, cercano di testimoniare il Vangelo personalmente e in gruppo.
Ma non tutto è perduto. Esistono settori cattolici che esprimono un cattolicesimo politico autentico e motivato: si pensi ad associazioni di volontariato (specie Caritas), ong, scuole di politica, gruppi di cittadinanza attiva e di quartiere, gruppi di migranti e volontari, liste civiche o minoranze nei grandi partiti e così via. Quantitativamente minoritari ma qualitativamente notevoli, poco raccontati dai media, possono considerarsi semi per un nuovo cattolicesimo politico italiano. Sono quelli che hanno il coraggio di salvare vite in mare, senza se e senza ma; sono quelli che agli interessi di famiglia o partito premettono il bene dell’intera collettività; sono quelli per cui la coerenza viene prima dell’appartenenza, per questo non sono né ambigui, né cinici, né invidiosi; sono quelli che non vivono di politica, ma per la politica, mettendoci cuore, mente e risorse; sono i veri eredi di tutti quei santi uomini e donne che ci fregiamo di citare, a volte non tanto per seguirli ma per fare bella figura.
Forse - io per primo - dovremmo citare meno i grandi politici cattolici del passato e studiarli di più nel segreto. Sono, infatti, convinto che il coraggio non si inventa ma è frutto di tanta preghiera e di tanto studio. Solo il cuore di chi è innamorato di Gesù Cristo e la passione nel comprendere il mondo in cui si vive possono scrivere una nuova pagina di cattolicesimo politico. Con molto coraggio.