Due articoli molto belli ed appassionati di Simone Stifani, pubblicati qui su Portalecce a distanza di qualche giorno l'uno dall'altro, hanno prima presentato (LEGGI) e poi relazionato in modo puntuale (LEGGI) come meglio non si poteva circa il convegno sul Codice di Camaldoli tenutosi lunedì 29 gennaio presso il Monastero delle Benedettine.
Due riflessioni che, fornendo al meglio i contenuti degli interventi dei relatori, hanno reso bene l'idea sia dei frutti scaturiti dall'esperienza di studio e di vita vissute proprio presso l'eremo di Camaldoli da quel gruppo di giovani nei giorni di luglio del 1943, sia dell'importanza di ritornare, nei giorni nostri, allo spirito che mosse i cuori e le menti di quei giovani. Perciò, non si vogliono in questa sede ribadire e ripetere concetti straordinariamente già espressi nelle due precedenti riflessioni a cui si è fatto riferimento, in quanto non vi è da sggiungere una virgola. Si vuole, invece, fornire qualche nota a margine sul bel convegno circa sensazioni e immagini di carattere generale, scaturite dal sentire comune dei tanti presenti alla serata, d'aver partecipato ad uno degli ormai rari momenti di analisi e dialogo profondi sul momento storico che stiamo vivendo, e su quale visione di futuro dovrebbe influenzare chi oggi ha il compito di guidare ai vari livelli i singoli e le comunità.
In un'epoca caratterizzata ancora (ci si è illusi di aver lasciato alle spalle il secolo ed i secoli delle guerre) da conflitti che distruggono vite umane ed interi territori; in un momento storico nel quale, al continuo aumento di connessioni ed interconnessioni tra le persone attraverso i social e le tecnologie digitali, corrisponde una sempre minore qualità di vera socialità; in un contesto generale nel quale le scelte di chi è chiamato a prendere decisioni ai vari livelli sono dettate sempre più dall'urgenza e sempre meno dalla visione a lungo termine; ecco che, in uno scenario come questo, sembrerebbe del tutto inutile anche solo il tentativo di pensare a qualcosa che possa invertire la rotta, soprattutto se questo scenario lo si osserva e lo si subisce rimanendo più o meno metaforicamente rintanati nelle proprie case, alle prese con le proprie fortune o sfortune, e non, invece, aprendo le proprie menti e i propri cuori a momenti di ascolto, di dialogo e di condivisione come quello a cui si è partecipato (non solo in presenza, per chi poteva, ma anche seguendo in streaming l'evento) la sera del 29 gennaio scorso. Un deserto fatto di aridità di parole vuote e gesti privi di quello slancio solidale che dovrebbe caratterizzare le quotidianità dei singoli e delle comunità: questo deserto è ciò in cui ci sentiamo immersi, questo deserto è ciò che sentiamo di avere di fronte e accanto a noi. Basterebbero queste semplici ma realistiche considerazioni per abbattere anche il più ottimista tra gli ottimisti. Ma, come quei giovani che "salirono" a Camaldoli, siamo chiamati anche noi donne e uomini di oggi, a cercare prima ed a trovare poi una o più oasi che diano non solo refrigerio e ristoro, ma soprattutto il tempo necessario per riflettere ed il discernimento per proporre e prendere decisioni giuste e utili per noi come singoli e per noi come comunità ai vari livelli. In altre parole, se non si è disposti (come fecero a Camaldoli 80 anni fa) a prendere del tempo per metterci non davanti ma accanto agli altri per condividere esperienze di vita e di riflessione, sarà dura per l'umanità di oggi avere visioni di futuro. Questo è riuscito a suscitare il bell'incontro tenuto presso il Monastero delle Benedettine il 29 gennaio scorso, in una serata fredda dal punto di vista meteorologico, ma calda dal punto di vista dei cuori. L'auspicio è che possano essercene tante altre di queste oasi nei vari deserti dell'anima e del cuore che, sempre più spesso, ci troviamo ad incontrare e ad attraversare.