Come stiamo vivendo questo tempo dettato dalle restrizioni per evitare l’allargarsi del contagio? Che tempo è per le nostre famiglie?
Senz’altro siamo soggetti tutti a molte limitazioni, in questo si può ben dire che sia una Quaresima particolare, con un’accentuazione delle sue specificità come la rinuncia, la privazione e il sacrificio; eppure non è solo questo. Per chi vive in famiglia la quarantena che ci è imposta è proprio un tempo favorevole.
I ragazzi sono a casa da scuola e - dopo i primi giorni di evanescente euforia - assaggiano la sacrosanta mancanza del luogo e del tempo a loro normalmente dedicati. “Mamma, quanto durerà?” “Papà, mi mancano i miei compagni!”. Quella che è spesso apparentemente sopportata come faticosa routine sui banchi di scuola, torna ad assumere la sua dimensione legittima e naturale: un fondamentale diritto, una grande occasione, l’istruzione che tanti ragazzi del mondo non possono permettersi e forse non avranno mai. È poi questo il tempo in cui le nuove tecnologie possono assumere maggiormente le funzioni originarie e più positive, ovvero quelle di mettere in comunicazione le persone fra loro, non per evadere dalla vita reale ma per sopperire alla possibilità di vedersi e frequentarsi fisicamente.
Internet e i social valicano il metro di distanza fisica che ci è imposto per prevenire il contagio e fanno entrare il mondo nelle nostre case mentre fuori le strade si svuotano. Piattaforme telematiche si moltiplicano e tutti i device in casa sono presi d’assalto non solo per giochi un po’ ripetitivi e talvolta alienanti, ma per mettersi in contatto col professore o la maestra, per una lezione a distanza, un compito in rete, o una comunicazione condivisa. Siamo uomini e donne e in quanto tali animali sociali, fatti per la relazione e le stesse mascherine con cui ci proteggiamo dicono l’emergenza di non potersi riconoscere dal volto, luogo della nostra espressione. Mentre i tg e i notiziari diffondono le notizie sempre sul sottile crinale fra necessità e sensazionalismo, la famiglia in casa assaggia lo strano sapore di essere fisicamente più unita del solito.
I pranzi feriali, di solito consumati ognuno in un luogo o in un tempo diverso, tornano ad essere in comune… nei lunghi pomeriggi sono eliminate tutte le attività ludiche e sportive, ma si può trovare il tempo anche per un gioco da tavolo tutti insieme. Sì, è questo un kairos, un tempo favorevole da sapere valorizzare, un tempo in cui riconoscersi fragili, bisognosi di luce come girasoli che si girano verso la fonte che dà loro il nome. Un tempo in cui usare con abbondanza il telefono per essere vicini alle persone che sappiamo più sole. Un tempo per varcare la soglia ed essere più solidali col vicino, magari anche quello molesto. Il tempo in cui dobbiamo tenere le distanze, può essere per paradosso quello in cui impariamo vicinanze nuove. È questo un tempo in cui la famiglia può tornare a pregare maggiormente insieme e fare della propria stessa vicinanza una preghiera.
Nel tempo in cui le autorità religiose decidono di assecondare quelle civili, rinunciando alla celebrazione delle messe, alle coppie cristiane è chiesto di diventare ancora di più ciò che sono, ovvero Chiesa domestica.
Gli sposi sono “tabernacoli ambulanti” che nel vivere il loro amore annunciano nel mondo il Vangelo per la grazia del sacramento delle nozze che ribadisce ed indirizza quella del loro battesimo. Dunque, più che rammaricarci - noi abituati ai mille campanili - per l’assenza dell’Eucarestia nelle specie del pane e del vino, condividiamo questo momento di “rinuncia” con tutti i cattolici che nel mondo non possono ricevere la comunione ogni domenica. E poi prodighiamoci per essere testimoni di lode, di ringraziamento e di carità fra noi e coi fratelli. Nella stagione del Coronavirus, famiglia diventa ciò che sei.