Buonasera direttore,
in questa ottava di Pasqua, nella gioia della Resurrezione, mi sono soffermata a pensare ai grazie da dire per la possibilità di vivere i tempi forti.
Volevo scriverle perché il vostro ruolo è senz’altro stato fondamentale, perchè i media hanno svolto un ruolo fondamentale, ma pensavo alle piccole realtà, quelle dove non ci sono sacerdoti tecnologici, quelle dove le possibilità di utilizzare i mezzi di trasmissione sono limitati. Eppure, anche lì, non è mancato questo nuovo modo di stare vicino alla comunità. Così le affido questi pensieri liberi, senza la pretesa che arrivino a tutti.
La mia riflessione e il mio grazie riguarda quei laici che dicono sì alla Madre Chiesa. Quelli che richiedono le autocertificazioni per continuare silenziosamente a svolgere mansioni di regolare servizio.
Con la notizia della scomparsa dello scrittore Sepulveda, mi è sovvenuto un passo del suo capolavoro indiscusso “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare”, che mi ha spinto a scriverle questa riflessione. Il mio intento è quello di rendere grazie, per tutto a tutti.
Scriveva: «Sei una gabbiana. Su questo lo scimpanzé ha ragione, ma solo su questo. Ti vogliamo tutti bene, Fortunata. E ti vogliamo bene perché sei una gabbiana, una bella gabbiana. Non ti abbiamo contraddetto quando ti abbiamo sentito stridere che eri un gatto, perché ci lusinga che tu voglia essere come noi, ma sei diversa e ci piace che tu sia diversa. Non abbiamo potuto aiutare tua madre, ma te sì. Ti abbiamo protetta fin da quando sei uscita dall'uovo. Ti abbiamo dato tutto il nostro affetto senza alcuna intenzione di fare di te un gatto. Ti vogliamo gabbiana. Sentiamo che anche tu ci vuoi bene, che siamo i tuoi amici, la tua famiglia, ed è bene tu sappia che con te abbiamo imparato qualcosa che ci riempie di orgoglio: abbiamo imparato ad apprezzare, a rispettare e ad amare un essere diverso. È molto facile accettare e amare chi è uguale a noi, ma con qualcuno che è diverso è molto difficile, e tu ci hai aiutato a farlo. Sei una gabbiana e devi seguire il tuo destino di gabbiana. Devi volare. Quando ci riuscirai, Fortunata, ti assicuro che sarai felice, e allora i tuoi sentimenti verso di noi e i nostri verso di te saranno più intensi e più belli, perché sarà l'affetto tra esseri completamente diversi».
Quante volte abbiamo consolato e confidato difficoltà nel dialogo con i nostri presbiteri. Quante volte ci siamo messi lì a spuntare le differenze tra “noi” e “loro”. Spesso abbiamo anche pensato di poterci sostituire a loro, di poter fare anche senza e forse anche viceversa… Forse.
Oggi la storia di Zorba e Fortunata, mi ha fatto guardare nella mia mente una fotografia: un sacerdote e un fratello laico che vuole imparare a volare alto. Fortunata pensa di essere qualcosa che non è, si sforza di somigliare a quello che gli sembra il suo ideale di essere vivente. Forse perché pensa che abbia accesso ad una specie di felicità nascosta. Zorba però non usa questo in una condizione di potere. Anzi. Insiste e insiste affinché la gabbianella trovi la forza spirituale di essere libera. Rimanendo in una amicizia alla pari, anche se l’uccello la considera fortemente d’esempio.
Ecco. Questa fotografia non è sbiadita “ai tempi del coronavirus”, come ci piace dire. Dalla mia esperienza personale voglio dire grazie a quei fratelli della mia comunità (come di tante altre) che non hanno smesso di imparare a volare e sono stati fondamentali per permettere a noi, dalle nostre case, di farci guidare verso la gioia vera. Voglio dire grazie ai parroci che si fermano a parlare con le gabbianelle scoraggiate, perché sanno che siamo complementari e soprattutto ci vogliono bene per come siamo.