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Nello storico momento di preghiera del 27 marzo scorso, Papa Francesco, da solo in Piazza San Pietro ai piedi della croce, ha offerto al mondo non solo delle immagini di straordinaria potenza evocativa, ma anche e soprattutto una meditazione che, per chi crede, traccia la rotta di un cammino che parte dal tempo della più grave emergenza, ma offre modelli anche per l'ordinarietà della vita dei cristiani e della Chiesa.

 

 

Nessuno si salva da solo” è stata una delle frasi di Francesco che più sono rimaste impresse nell'immaginario collettivo, anche per l'assist che ha offerto ai quotidiani del giorno dopo per il loro facile titolo di apertura. Al punto che si è corso il rischio di trasformare in uno slogan, come tale buono per attirare l'attenzione e per poco altro, parole cariche non solo di senso, ma anche di prospettive, che non a caso il Santo Padre ha avuto cura di specificare subito dopo: “Quanta gente esercita ogni giorno pazienza e infonde speranza, avendo cura di non seminare panico ma corresponsabilità.

A più di due mesi di distanza da quel discorso, possiamo certamente dire che il tempo eccezionale che viviamo ha mostrato ancora una volta il profilo più bello della Chiesa, quella universale e quella locale, quella che è faro e guida per l'umanità e quella che prende a cuore le sofferenze e le povertà della porta accanto. E ha mostrato che oggi, tra l'emergenza sanitaria e quella economica, nel fluire della normativa che impone stringenti restrizioni anche alle stesse attività pastorali, c'è uno straordinario bisogno di quei fedeli che “secondo la scienza, competenza e prestigio di cui godono, hanno la facoltà, anzi talora anche il dovere, di far conoscere il loro parere su cose concernenti il bene della Chiesa” (LG 37).

Che bello vedere, come capita ultimamente sui social network, che nelle parrocchie della nostra diocesi le decisioni più importanti, talvolta difficili, come ad esempio quelle che riguardano le tanto attese attività estive, vengono assunte sempre naturalmente dai parroci (magari da tutti i parroci dello stesso paese o quartiere), ma insieme alle Istituzioni politiche, insieme ai laici responsabili dei diversi gruppi parrocchiali (e perché no, talvolta interrogando anche le realtà associative esterne alla parrocchia), ascoltandosi e confrontandosi, valorizzando i suggerimenti competenti e pregandoci su. Quale che sia la decisione presa, a quel punto poco importa, perché sarà stata inevitabilmente il frutto maturo di un autentico discernimento comunitario e, dunque, la più giusta per la propria comunità.

È il modello, quello che emerge dai racconti delle nostre parrocchie, di una Chiesa che rifugge la chiusura nei circuiti che, piccoli e autoreferenziali, non sono in grado di seminare comunione... è il modello di una Chiesa che, investendo nelle relazioni costruttive nelle quali le responsabilità possono essere serenamente condivise, sa bene che “nessuno si salva da solo”, e opera di conseguenza.

 

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