on l’approvazione definitiva della legge di bilancio si chiude l’attività parlamentare del 2020.
La corsa affannosa per rispettare il termine del 31 dicembre, che ha costretto il Senato a un voto lampo e senza poter apportare alcuna modifica al testo uscito dalla Camera, ha reso impossibile correggere un “errore tecnico” nella scrittura della norma sulle detrazioni da lavoro dipendente. Intervenire con un emendamento avrebbe comportato la necessità di un nuovo passaggio alla Camera fuori tempo massimo e quindi si dovrà ricorrere a un decreto legge autonomo. Ma questa coda non è niente in confronto ai problemi che il governo dovrà affrontare nei prossimi giorni. Ci sono infatti da definire i contenuti e le procedure del piano con cui l’Italia impiegherà le ingentissime risorse del Recovery Plan europeo. I tempi stringono. Nella conferenza stampa di fine anno Giuseppe Conte ha annunciato l’intenzione di portare la questione in Consiglio dei ministri ai primi di gennaio per poi avviare il confronto con le parti sociali e concludere il percorso in Parlamento entro febbraio. Tutto però è appeso alla soluzione della crisi nella maggioranza innescata da Italia Viva. Nel suo discorso in Senato sulla legge di bilancio, Matteo Renzi ha riproposto tutte le sue condizioni e oggettivamente non c’è nessuno in grado di prevedere con esattezza quale sarà l’esito di questo passaggio politicamente cruciale. Il florilegio di ipotesi si è arricchito negli ultimi giorni di una nuova possibilità, peraltro già sperimentata nella cosiddetta Prima Repubblica: l’uscita dal governo dei ministri di Iv che però continuerebbe ad appoggiare dall’esterno l’esecutivo in carica. Nel frattempo le cronache registrano movimenti di parlamentari che potrebbero condurre alla nascita di un raggruppamento in grado di rimpiazzare gli eventuali numeri mancanti alla maggioranza senza Iv. Chissà.
Nella conferenza stampa Conte ha affermato che, se dovesse venir meno la fiducia di uno dei partiti della coalizione, il governo affronterà un passaggio in Parlamento. Istituzionalmente l’impostazione è corretta ma che cosa concretamente comporterà ancora non è dato saperlo. Di sicuro il Quirinale non avallerà soluzioni pasticciate e ambigue. Il Paese ha bisogno di un governo sorretto da un accordo politico forte e ognuno dovrà assumersi le proprie responsabilità.
Del resto, quali che siano le sue effettive motivazioni, la crisi in atto appare lontanissima dalla vita reale degli italiani, alle prese con una pandemia che continua a mietere centinaia di vittime ogni giorno e con una situazione economica che, nonostante i continui “ristori”, resta estremamente grave. Per dire: a fine a marzo scade il blocco dei licenziamenti e bisognerà gestire una situazione che potrebbe essere ancora più devastante di quanto si è visto finora. Certo, su entrambi i versanti gli elementi di speranza sono concreti e robusti. La campagna di vaccinazione è partita, pur tra mille difficoltà, e a breve dovrebbero essere finalmente disponibili anche dei farmaci specifici per il Covid. I fondi in arrivo dalla Ue - il cui scatto politico è una delle poche novità positive del 2020 - possono davvero imprimere una svolta all’andamento dell’economia, a patto che siano investiti nel migliore dei modi possibili. Ma proprio la gravità della situazione e, allo stesso tempo, le grandi opportunità da cogliere per farvi fronte, rendono la crisi di governo un oggetto misterioso, incomprensibile agli occhi degli italiani. Il fatto che il Presidente del Consiglio non abbia delegato a un sottosegretario le competenze che la legge gli attribuisce in materia di servizi di sicurezza, non può diventare un motivo di rottura in una fase del genere. Non ci sono sottintesi e dietro-le-quinte che tengano. Ma anche quando il tema è reale e decisivo, come nel caso dell’utilizzo dei fondi del Recovery Plan, il confronto non può procedere a colpi di ultimatum, se si vuole arrivare a un risultato condiviso.
Se invece l’obiettivo è tutto politico e riguarda leadership e assetti di governo, allora bisognerebbe dirlo direttamente e senza giri di parole.
Con la maggioranza in bilico, nel campo dell’opposizione si evidenziano i comprensibili e legittimi sforzi di accreditamento come potenziale alternativa di governo. A giudicare da alcuni recenti interventi di Matteo Salvini e Giorgia Meloni, sembra cominciare a farsi strada la consapevolezza che un rapporto costruttivo con l’Europa costituisca una pre-condizione ineludibile per guidare uno dei Paesi-cardine della Ue. Lo era prima e lo è tanto più oggi. Se sono rose fioriranno, si usa dire in questi casi e sarebbe importantissimo per il sistema politico italiano poter contare su una destra convintamente europeista. Il risultato non è propriamente dietro l’angolo se oggi, in Senato, un esponente di spicco della Lega ha paragonato l’atteggiamento della Germania nei confronti dell’Europa all’invasione nazista della Polonia nel 1939…