La periferia è vista, spesso e unicamente, come luogo dell’assenza: di storia, di significato, di identità; o come luogo della perdita: di forme, di relazioni, di qualità.
I recenti fatti di cronaca avvenuti in piazzale Pesaro, riportati dalle varie testate giornalistiche, descrivono la periferia come una linea d'ombra, il luogo di frontiera senza radici e senza prospettive.
La chiamavano 167, con una serie di stereotipi, significati negativi e pregiudizi. Così la periferia è diventata un aggettivo per descrivere alcuni quartieri, aree marginali della città, i luoghi dell’emarginazione e del degrado.
Desidero invitare i lettori a guardare al di là del pregiudizio. La chiamavano 167, dopo alcune battaglie negli anni scorsi anche a livello giornalistico, tutta la zona di periferia est di Lecce viene chiamata Quartiere Stadio. Anche la denominazione è importante perché non ci sia ghettizzazione. Il rione Kolbe, San Giovanni Battista, San Sabino, San Francesco, appartengono al Quartiere Stadio.
I progetti e le esperienze messe in atto in questi anni dalle parrocchie e dalle associazioni presenti sul territorio, dimostrano, come gli abitanti, i parrocchiani, i residenti, agiscano per migliorarne la qualità.
La riqualificazione urbana avvenuta negli ultimi anni, grazie all'impegno di associazioni, istituzioni e cittadini, ha reso il Quartiere Stadio un luogo di aggregazione molto importante.
Perciò lo sguardo di chi osserva dall’esterno, sia esso tecnico o amministratore o cittadino, ha bisogno di connettersi con quello di chi guarda e vive la realtà quotidianamente.
La sparatoria dell'altro giorno evidenzia un disagio, occorre attenzione da parte di enti ed istituzioni, maggiore presenza. Certamente non possiamo bendarci gli occhi: esistono sacche di povertà incancrenite, per mancanza di lavoro e di speranza. Esistono spazi vuoti che possono, purtroppo essere riempiti dalla microcriminalità.
Le situazioni di disagio sono evidenti ed aumentate dalla situazione di emergenza sanitaria. Abbiamo famiglie disperate che non sanno come andare avanti, senza mezzi e sussistenza. Le Caritas e le associazioni si prodigano enormemente, ma tantissime famiglie, non avendo un lavoro, vivono nella totale disperazione.
Le parrocchie e le associazioni si impegnano nel sociale a realizzare progetti rivolti ai minori, per prevenire il disagio, ma spesso sono lasciate sole. Occorre trasformare la realtà della città, puntando su un valore, quello del bello, che sembra ignorato dalla nostra società, ma che invece può innescare cambiamenti profondi anche dal punto di vista sociale ed economico, ed inoltre occorre che non manchi il necessario a nessuno.
Papa Francesco a Tor Vergata: “Noi siamo la centralità urbana, alternativa al centro storico, il punto di incontro, per abbracciare e servire questa città, serve un cuore buono e grande, nel quale custodire la passione del bene comune”.
“È questo sguardo - ha aggiunto - che porta a far crescere nelle persone la dignità dell’essere cittadini”, “promuove giustizia sociale”, “crea innumerevoli iniziative con cui abitare il territorio e prendersene cura” ed “educa alla corresponsabilità”.