“Il reddito di cittadinanza non può essere uno strumento di assistenza definitivo per chi può lavorare, ma piuttosto una stampella temporanea che consenta ai cittadini in difficoltà di ripartire con fiducia e speranza”.
Ne è convinto l’arcivescovo di Lecce, mons. Michele Seccia, che così si è espresso (LEGGI ARTICOLO) intervenendo nel dibattito sul Reddito di cittadinanza sollevato nel numero in edicola ieri dal Nuovo Quotidiano di Puglia all’indomani delle dichiarazioni del card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente dei vescovi italiani, a commento del recente Rapporto Caritas sulla povertà in Italia.
“È fuori di dubbio che il reddito di cittadinanza sia uno strumento necessario e indispensabile, ma, come sostiene il card. Zuppi, esso va aggiustato”, ha sottolineato mons. Seccia, aggiungendo che “da pastore di una Chiesa del Sud, alla ricerca costante di una mediazione tra il disagio provocato dalla povertà intesa in senso lato e il benessere sociale, mi ha rattristato il fatto che spesso, nella recente campagna elettorale, sia stato strumentalizzato per propaganda e in maniera discriminante per chiedere il voto ai cittadini: come se l’aiuto e il sostegno alle fasce deboli della popolazione fosse qualcosa che appartiene in esclusiva a qualche leader o a qualche partito”.
“Se ci sono due principi, invece, che dovrebbero unire anche le più distanti parti sociali e politiche, come insegna il Catechismo della Chiesa cattolica, dovrebbero essere proprio quello di sussidiarietà e quello di solidarietà, a vantaggio dei deboli e dei fragili”, ha evidenziato l’arcivescovo. Ricordando che “il Reddito di cittadinanza ha salvato negli ultimi anni molte persone e tante famiglie dal baratro della disperazione e della miseria totale” per “rinforzare” lo strumento mons. Seccia ha avanzato due suggerimenti: “Al fine di incrementare il budget statale occorrerebbe, da parte del nuovo Governo, implementare - elemento che fino ad oggi non è decollato totalmente - il sistema dei controlli per stabilire la verità su chi ne ha veramente bisogno e chi, abusando del sussidio, preferisce non cercare un lavoro, oppure lo rifiuta perché faticoso o, peggio ancora, svolge attività non regolari, diventando così anche evasore fiscale a totale danno del bene comune”.
“Verrebbero liberate così nuove risorse da destinare a chi è davvero impossibilitato ad autosostenersi”, ha osservato l’arcivescovo. La seconda proposta è quella di “avviare finalmente, approfittando anche dei fondi del Pnrr, serie politiche sociali e di sviluppo per la creazione di nuovi posti di lavoro senza costringere i padri di famiglia a chiedere il Reddito di cittadinanza o addirittura ad emigrare dal Sud pur di garantire il necessario ai propri figli”.
Per mons. Seccia, “sarà un passo decisivo al fine di restituire così la giusta dignità a chi è svantaggiato per i più svariati motivi”.