Un pomeriggio di festa ma soprattutto di riflessione e di preghiera quello vissuto ieri dagli oltre cinquanta giornalisti salentini intervenuti ieri sera nella basilica di Santa Croce in Lecce per partecipare all’incontro organizzato dall’Ufficio diocesano per le comunicazioni sociali guidato da don Emanuele Tramacere.
Due momenti di condivisione fraterna. Il primo quello guidato dal prof. Renato Butera, docente di Teorie e tecniche dell’informazione giornalistica presso la Pontificia Università Salesiana in Roma. Il professore salesiano ha ripercorso in breve la storia dell’intelligenza artificiale cercando di offrire qualche risposta ai tanti interrogativi posti da Papa Francesco nel Messaggio pubblicato lo scorso 24 gennaio, memoria di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti, in vista della Giornata mondiale delle comunicazioni che si celebrerà il prossimo 12 maggio. Ha chiuso l’incontro Fabrizio Benvenuto, presidente del chapter italiano di Iamcp (Associazione internazionale partner Microsoft), il quale ha manifestato la difficoltà di coniugare al meglio tecnologia e umanesimo come chiesto dal Santo Padre, sollecitando la “sapienza del cuore”, il buon senso, diremmo noi, anche di fronte alle rivoluzioni tecnologiche cui si sta assistendo ormai da qualche decennio.
Non è mancato il saluto di don Tramacere il quale oltre a ringraziare l’arcivescovo per l’Ufficio che gli ha affidato, i relatori per le competenze trasmesse e i giornalisti intervenuti alla festa, ha voluto manifestare vicinanza e solidarietà ai giornalisti della Gazzetta del Mezzogiorno che, da quasi un mese, vivono il dramma della cassa integrazione che, in mancanza di uno sforzo maggiore da parte dell’editore, può diventare l’anticamera del licenziamento.
Dopo l’incontro, i giornalisti intervenuti hanno partecipato alla messa domenicale presieduta dall’arcivescovo Michele Seccia. Nell’omelia (LEGGI IL TESTO INTEGRALE) non ha tralasciato di salutare i giornalisti presenti: “C’è tra noi stasera, una bella rappresentanza di giornalisti e operatori della comunicazione, che nel giorno della loro festa organizzata dall’Ufficio diocesano per le comunicazioni, prima della messa, qui a Santa Croce, ha riflettuto proprio sull’autorevolezza dell’informazione e sugli interrogativi posti da Papa Francesco sull’avvento nella vita dell’uomo dell’Intelligenza Artificiale, nel suo Messaggio per la Giornata delle comunicazioni che celebreremo a maggio e che il Santo Padre ha già reso pubblico nel giorno della festa di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti, lo scorso 24 gennaio”.
“Ma come un operatore della comunicazione, un giornalista manifesta la sua autorevolezza? - si è chiesto Seccia -. È importante fermarsi ogni tanto e allargare lo sguardo. Come singoli e come comunità: come ha ricordato Papa Francesco la comunicazione è la vostra missione. Ma ‘comunicare per noi non è sovrastare con la nostra voce quella degli altri, non è fare propaganda; non è puntare tutto sull’organizzazione, non è questione di marketing; non è solo adottare questa o quella tecnica; è condividere una lettura cristiana degli avvenimenti; è non arrendersi alla cultura dell’aggressività e della denigrazione; è costruire una rete di condivisione del bene, del vero e del bello fatta di relazioni sincere; è coinvolgere nella comunicazione i giovani’”.
“È nel cuore che matura la postura esteriore del nostro vivere - ha aggiunto -, per questo il Papa insiste sul cuore, sulla sapienza che viene dal cuore, sulla comunicazione che senza cuore è incapace di vedere, di ascoltare, di capire e di trasmettere. Se dunque il mondo sembra andare da una altra parte, smarrendo il senso più profondo del comunicare, se il giornalismo sembra destinato ad essere soppiantato dalla ricerca di notizie torbide, facili, piccole e non dalla ricerca della Verità perfezionata dalla Carità il compito del giornalista maneggiatore delle parole è quello di diventare megafono della Parola. Questa è la vostra sfida, riportare la realtà con un atteggiamento veritativo con una attitudine performativa”.
“È un bel compito - ha concluso Seccia -, un grande compito per i giornalisti cattolici e per tutti noi. Rendere significante e autorevole la nostra testimonianza di fede. Proporci di cambiare anche i modelli sociali quando rischiano di snaturarla; riscoprendo l’idea che l’informazione, come l’istruzione, come la sanità, come ogni ambito della vita dell’uomo… sono un bene pubblico, sono bene comune: e come tale va difeso. Perché da esso dipende il nostro futuro”.
Racconto per immagini di Arturo Caprioli