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La pandemia  e le restrizioni  hanno fatto scattare avanti di qualche ora le lancette  dell'orologio, ma l'arcivescovo  Michele Seccia non ha mancato di spezzare il pane della Parola e dell'Eucaristia  nella solenne veglia di Natale celebrata in cattedrale  e trasmessa in diretta da Portalecce (CLICCA QUI) e Telerama, con accanto il vescovo Cristoforo Palmierimons.Adolfo Putignano, don Andrea Gerardo e il diacono don Alessio Seconi.

 

 

Attuale e profonda la riflessione del presule che non poteva non tener presente il contesto storico che circonda il mondo d'oggi a motivo del contagio da Covid-19. A tal proposito, più volte durante la veglia il suo pensiero e la sua benedizione sono giunti agli ammalati ricoverati in ospedale e a tutto il personale sanità che continua generosamente il suo servizio nonostante il rischio del contagio. La presenza del direttore generale della Asl di Lecce, Rodolfo Rollo (al momento della preghiera dei fedeli il dirigente ha anche rivolto una sua personale intenzione per i i morti colpiti dal virus, per i  ricoverati e per tutti gli operatori che servono in ospedale) è stata occasione per Seccia di rivolgere la sua personale gratitudine e quella della Chiesa di Lecce.

Ha affermato: "anche noi, come il popolo di Israele, forse anche come Maria e Giuseppe, ci sentiamo  nel buio, incapaci di trovare la via retta del nostro cammino; eppure in questa notte risplende la luce, quella del Bambimo di Betlemme che dona senso al nostro esistere".

Questo tempo, tanto particolare quanto autoreferenziale,  ha spinto l'uomo ad escludere le relazioni e a rinunciare ad esse, finendo per alimentare la solitudine, l'abbandono, la sfiducia.

Con la sua luce Cristo bambino è  venuto a convertire la vita della più nobile tra le creature, tanto schizofrenica quanto superba.

Citando Papa Francesco, Seccia ha aggiunto: " esiste un virus che si chiama egoismo ed è  un peccato dal momento che porta l'essere umano alla sua assolutizzazione, alla sua deificazione, impedendogli di saper godere dell'altro".

Il pastore leccese ha, tuttavia, indicato la medicina per vincere questo "vulnus" e che è  la voglia di "vedere oltre".

Ha detto: " il Signore Gesù  non si fa riconoscere  da chi con superbia  si accosta a lui, ma solo da chi,  come i pastori , è  in grandi di andare a lui con cuore umile, sincero, mite, proprio come lui che è  divenuto humus, terra,  sincerità, al fine di fare di noi delle creature  celesti.”

Ecco allora che il Natale diventa esaltazione  di una grandezza intrisa di espropriazione  di sé,  trionfo di vita donata, palpito del cuore di Dio che chiama l'uomo a sé.

Con tali sentimenti, l'arcivescovo  ha augurato a tutti un Natale  quasi "scomodo" nel quale Gesù  Bambino possa provocare la fede umana, spesso intorbidita per farla diventare canto di lode, offerta di conversione: “se ogni famiglia non si ritrova unita in preghiera anche pochi minuti davanti al presepe, è meglio smontarlo. Non serve se è solo un rito o una tradizione della casa”.

 

Photogallery du Arturo Caprioli

 

 

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