Correre, vedere e credere sono la declinazione discepolare della Pasqua.
Lo si evince chiaramente dall'omelia che l'arcivescovo Michele Seccia ha tenuto nel solenne pontificale del giorno di Pasqua celebrato nella chiesa cattedrale e trasmesso in diretta da Portalecce (RIVEDI) e Telesalento.
Ha fatto corona al pastore leccese, il parroco don Flavio De Pascali.
Lungi dal rendere tale solennità troppo distante dalla vita dei fedeli, il presule ne ha subito dato la chiave di lettura che è da riscontrare nell'entusiasmo che anima la corsa della Maddalena, di Pietro e di Giovanni verso il luogo in cui Gesù era stato posto.
“Come possiamo vivere la Pasqua - ha esordito Seccia nell’omelia - senza la consapevolezza piena che Gesù risorto è con noi? E come lui mostra le piaghe per farsi riconoscere, quest’anno gliele mostriamo noi a Lui. Le nostre piaghe, le nostre ferite… E non per piangerci addosso ma per consegnargli la storia dei suoi fratelli, dei figli del Padre. Questa è la storia di coloro che Egli ha redento e che vivono tante situazioni dolorose nelle quali toccano con mano che la sofferenza è parte della redenzione ma è anche motivo di speranza. Gesù vedendo le nostre piaghe ci dice: coraggio, anche le vostre mani sono trafitte per la povertà, per la malattia, per la mancanza di fede. Gesù è risorto senza dimenticare i segni della sua passione: quelli suoi e quelli nostri, oltre ogni paura”.
Provocante la sua attualizzazione: "cari fratelli, forse il nostro cristianesimo è troppo condito di culto e poco di annuncio? Siamo, altresì,
cristiani da salotto come spesso ci ricorda Papa Francesco? La Pasqua è festa ‘scomoda’ perché ci impegna alla missionarietá, all'annuncio, ad un racconto che parta dalla comunione che noi siamo in grado di vivere col Risorto".
Spesso, infatti, i battezzati non vivono pienamente la propria vocazione battesimale, di persone cioè il grado di guardare per "andare oltre"; dinanzi alle contrarietá della vita ci si blocca lasciandosi sopraffare dal buio e dal pessimismo.
Incisivo e scuotente Seccia: "I discepoli che, forse anche con preoccupazione vanno al sepolcro, vedono! Viviamo in un mondo che ama guardare e scrutare, ma forse non sappiamo vedere, perché questa azione presuppone un superamento di sé che per ognuno di noi non può che avere le sembianze del Risorto, della vita".
Ecco che quanti hanno una vista allenata a scorgere la presenza di Cristo che agisce nella storia, hanno come unica possibilità
quella di credere; in un contesto ecclesiale e spirituale in cui si crede solo dopo l'evento miracolistico, i tre "amici" del Signore mettono in atto una sequela che ha il sapore dell'affidamento.
Ancora il vescovo: "Andiamo alla ricerca di segni tangibili che rendano ragione di una nostra inquietudine interiore; dobbiamo, tuttavia, comprendere che il punto nevralgico per avere fede è abbandonarsi a Lui; solo nell'abbandono si sperimenta la bellezza di lasciarsi incontrare dal Figlio di Dio e, pertanto, di lasciarsi continuamente convertire".
Tre sfaccettature, dunque, che rendono la Pasqua un evento attuale e sempre in divenire e che permettono ad ogni cristiano che da contemplativo vive "per Cristo, con Cristo e in Cristo" (cfr. Dossologia) di innalzare "alla vittima pasquale il sacrificio della lode "(cfr. Sequenza Pasquale).
Racconto per immagini di Arturo Caprioli.