La chiesa di Lecce cenacolo in attesa dello Spirito. È questa l’immagine che l’arcivescovo Michele Seccia ha utilizzato per condensare il significato della solenne veglia di Pentecoste che egli ha presieduto ieri sera nella chiesa cattedrale e che è stata trasmessa in diretta da Portalecce (GUARDA) e Telerama.
La Pentecoste è ufficialmente nota come la celebrazione della effusione dello Spirito da parte del Risorto; tuttavia, se si volesse rintracciare un significato più nascosto ma ugualmente efficace potrebbe essere detta come l’evento che consente alla chiesa di prendere consapevolezza del suo essere “inviata”.
Bella a tal proposito la suggestione di Seccia: “cari cristiani, a volte, l’esperienza timorosa e timida dei discepoli appartiene anche al nostro modo di gestire il rapporto con il Signore che spesso è devozionale, a volte retributivo, poche volte interamente modificante il nostro essere e agire nella storia”.
Ecco perché in questo giorno, compimento del tempo pasquale, la comunità ecclesiale chiede ad ogni battezzato un esercizio di conversione, un ricentramento che passa da tre atteggiamenti che delineano l’identikit del cristiano: testimoniare, guidare, annunciare.
Per comprendere cosa significa essere credenti, occorre andare all’evento del Battesimo che dice cosa il discepolo è chiamato ad essere: non fruitore del sacro, né uomo che ricorre al Signore nei momenti topici dei suoi giorni.
Il battezzato è un “chiamato” a stare con il Signore, consapevole che da questa intimità deriva la sua capacità di essere testimone.
Ancora il presule: “Fratelli e sorelle, dovremmo leggere spesso il brano della chiamata dei dodici che l’evangelista Marco racconta al capitolo terzo del suo evangelo: ci dice che non esiste esperienza di fede che non si giochi tra due poli, quello della comunione col Signore e quello dell’invio a raccontare, poiché intanto si sperimenta lo stare con il Maestro in quanto si sente il bisogno che tale stile sfoci nella testimonianza”.
Ecco allora che è importante, per ogni cristiano, leggere l’evento della sequela non tanto dalla prospettiva discepolare, quanto da quella cristica, dal momento che è prioritario notare come la pedagogia del Risorto sia quella di guidare, suscitare continuamente l’incontro con Dio.
Incalza l’arcivescovo: “nella liturgia di domani ascolteremo che lo Spirito ci guida alla verità tutta intera; se avessimo modo di guardare l’intervento di Gesù in noi, fin dal nostro esistere come suoi discepoli, scopriremmo che è lui che ha accompagnato i nostri passi portandoci a scoprirlo e a comprenderlo come il motivo e l’origine del nostro esistere. Cari miei, questa è la sfida di chi si dice credente: non vivere un cristianesimo a proprio uso e consumo bensì condurre i nostri fratelli nella fede al Signore”.
Come può avvenire tutto questo? Attraverso una continua opera di decentramento. Se è vero che il discepolo è l’attualizzatore del comando che Maria ha dato a Cana di Galilea ai discepoli (cfr. Gv 2,5), è anche vero che egli è destinato a riscoprirsi cristoforo, portatore al mondo della divina presenza.
Conclude il vescovo: “Fratelli cari, se la nostra fede è languida, è perché nello scorrere dei giorni non portiamo lui al mondo ma, servendoci di lui, noi portiamo i nostri criteri, le nostre esigenze, noi stessi”.
Testimoniare Cristo, guidare a Cristo, portare Cristo siano gli atteggiamenti che rendono la Pentecoste non una ricorrenza annuale ma lo stile di vita di ogni innamorato del Signore.
Racconto per immagini di Paolo Andriani.