Avvicinandosi il giorno del 70° compleanno (il 6 giugno) dell’arcivescovo Michele Seccia che la Chiesa di Lecce festeggerà in tre diversi momenti (GUARDA SOTTO), Portalecce ha pensato di raccogliere frammenti della sua vita attraverso i racconti e i ricordi di chi lo ha conosciuto da vicino. Brevi istantanee che ripercorrono la vita di un ragazzo, di un sacerdote, di un vescovo che ancora oggi continua a scrivere pagine di vita evangelica.
Era il giugno del 1997, da gennaio mons. Bonicelli era stato trasferito ad altra sede, San Severo era in attesa di un nuovo pastore. Ci giunse improvvisa la notizia che don Michele Seccia, vicario generale della Chiesa di Trani Barletta Bisceglie, sarebbe stato il nostro nuovo vescovo. Il vescovo più giovane d’Italia, 46 anni.
Gioia mista a curiosità la prima reazione. Il primo incontro, in quel di Barletta, fugò qualsiasi preconcetto. Egli si presentò come un fratello, compagno di cammino, “collaboratore di gioia”: un impatto positivo motivato da un volto sorridente e sincero.
Gli anni che seguirono confermarono la sua forte carica umana e la capacità di familiarizzare con tutti, particolarmente con i più disagiati, che egli con semplicità riceveva e faceva sedere alla sua mensa, mettendosi a servire.
Scelse di essere ordinato qui da noi per esprimere la stretta relazione tra la Chiesa che accoglie e lo sposo che ad essa si lega; fu una grande festa di popolo, il suo sorriso conquistò subito tutti. Il popolo di Dio, che per queste cose ha un fiuto speciale, lo percepì subito come uno di loro. Dopo circa un anno e mezzo mi chiese di collaborare più strettamente con lui, divenni il suo vicario, e la sintonia iniziale si trasformò in solida amicizia che ancora oggi, dopo oltre 15 anni, è ancora viva.
Collaborare con lui a volte mi costava fatica, la sua abitudine a fare da sé lo condizionava parecchio, e mentre io cercavo di nascondere le mie perplessità, don Michele notava il mio imbarazzo, e lo attribuiva ad un suo difetto: diverse volte trovavo sulla mia scrivania un biglietto in cui mi chiedeva scusa per non avermi coinvolto abbastanza in certe decisioni. Lezioni di sensibilità umana e di umiltà mai dimenticate.
Nell’azione pastorale e di governo era un vulcano di intelligente ed entusiastica attività che però nasceva da una forte carica spirituale: nella cappellina dell’episcopio il suo inginocchiatoio non era mai impolverato.
Sapientemente non stravolse alcun piano pastorale, ma diede linfa nuova a quella stagione di rinnovamento che era iniziata con i suoi due predecessori: Padre Carmelo Cassati e don Cesare Bonicelli. Seppe portare a fioritura e a frutto i germogli di primavera ecclesiale che i due pastori predecessori avevano iniziato.
La preparazione e la celebrazione del Grande Giubileo del duemila; la realizzazione della nuova sede della Caritas diocesana come segno dello stesso giubileo; la ripresa della pastorale familiare con una particolare attenzione alle coppie in difficoltà e a quelle che allora si chiamavano irregolari; il nuovo impulso alla pastorale giovanile e a quella del mondo del lavoro; iniziative pastorali di apertura agli ambienti della cultura e dell’arte, come i “Giovedi di Quaresima “, una sorta di tentativo di confronto con i cristiani della soglia e il modo della cultura locale. Anche il mensile diocesano “Oltre la porta”, da lui voluto, era una risposta alla sua ansia pastorale di “Chiesa in uscita”. E ancora l’indizione del 2° Congresso eucaristico diocesano; l’incremento dell’attività di cooperazione missionaria con la diocesi di Natitingou in Benin. Ecco una panoramica, non certo esaustiva, dello zelo pastorale di mons. Seccia.
Anche i due terremoti che colpirono il nostro territorio nel 1998 e nel 2002 lo videro in prima linea nell’organizzazione e nella ricerca di fondi statali e non, per i restauri e la ricostruzione di chiese e opere parrocchiali danneggiate.
L’unico rammarico è che il suo trasferimento ci ha procurato oltre un decennio di stagione invernale dalla quale stiamo, per grazia a Dio, uscendo rigustando il bello di un’altra primavera.
Grazie don Michele, il tuo passaggio tra noi è stata una ventata di quella Pentecoste che con Papa Francesco la Chiesa universale sta provando a vivere. Ad multos annos.