Si dimostra sempre più concreta la speranza che l’epidemia stia registrando in modo stabile una svolta positiva e si può, quindi, ritenere che è ormai giunto il momento di dedicarsi ad una lettura più approfondita della situazione.
Può essere molto utile accogliere, pertanto, il monito di Papa Francesco «Peggio di questa crisi c'è solo il dramma di sprecarla»: si tratta di non chiudersi in sé stessi e di superare, invece, le tentazioni del narcisismo, del vittimismo e del pessimismo.
In questo contesto di elaborazione di prospettive, si è rivelato molto interessante e fruttuoso il Laboratorio teologico-pastorale organizzato dall’Istituto di Scienze religiose metropolitano “don Tonino Bello” di Lecce in onore dell’arcivescovo mons. Michele Seccia, per festeggiare il suo settantesimo compleanno.
La situazione richiede di “saper stare geneticamente nella crisi”, ha sostenuto nella sua relazione il preside della Facoltà teologica pugliese, il prof. Vito Mignozzi.
Egli ha rilevato con risolutezza che “siamo in condizione di guado”, con le tante situazioni di difficoltà in ambito civile e religioso, da valutare “senza il taccuino delle ricette già pronte, delle risposte tipo ‘si è fatto sempre così’, delle soluzioni facili.
E che, pertanto, come disse il Papa il 27 marzo dell’anno scorso in Piazza San Pietro, «la tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità».
Il prof. Mignozzi ha puntualizzato, allora, che occorre innanzi tutto avere la consapevolezza che l’epidemia “ha portato alla ribalta questioni già presenti nel vissuto ecclesiale, terremoti che provocano grande senso di smarrimento”. Anche con la sperimentazione del vuoto, come quando si è vissuta l’interruzione della celebrazione dell’Eucaristia.
Occorre, pertanto, prendere atto che, come la bassa marea mostra i residui negativi nei fondali, l’epidemia ha fatto emergere ciò che non costruisce davvero relazioni, ciò che è futile e non merita affidamento per il futuro, e la necessità di promuovere, invece, una fede semplice, quotidiana: “è caduta un’immagine di Chiesa trionfale, ma la caduta è gravida di nuova nascita”, per cui occorre, invece, “esercitarsi nell’arte sapiente della lettura della storia, sintonizzandoci sulla voce dello Spirito che continua a spirare nella Chiesa”.
È importante considerare che “la comunità cristiana è ormai diaspora, dispersione all’interno del corpo sociale” e che, pertanto, occorre rendere feconda la dispersione con l’essere sale della terra.
E, quindi, rendere sempre più presente “una comunità ecclesiale che assume l’habitus dell’umiltà e assume il coraggio come dono pasquale dello Spirito”, proponendo la Chiesa della misericordia, della sinodalità, della fraternità.
Proprio una Chiesa apripista per una fraternità ritrovata. Per la salvezza del mondo.