Concluso il discorso della Montagna, Gesù fa ritorno a Cafarnao. Appena entrati in città trovano una piccola folla ad attenderli.
Uomini e donne che chiedono una preghiera, una benedizione, una guarigione. Tra questi, in disparte, c’è il centurione romano Servio Emilio Felice, indossa la divisa militare, solitamente odiata agli israeliti perché segno e simbolo dell’occupazione subita ma lui è benvoluto, è rispettoso ed ha collaborato alla costruzione della nuova sinagoga. Ha un grande dolore nel cuore: il suo servo fedele, Filone, è ormai in fin di vita.
Non ritenendosi degno di avvicinarsi e rivolgere la parola a Gesù, chiede ad alcuni anziani della città, suoi amici, di fare da ambasciatori. Gli chiedono di salvare il servo. “Verrò a casa tua e lo guarirò”: dice il Nazareno al centurione. “Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito”. “Va’, avvenga per te come hai creduto”. In quell’istante il suo servo è guarito. Il soldato romano non riesce neanche a dire una parola, ringrazia con gli occhi gonfi di lacrime. Corre va casa, trova Filone completamente sano.