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Una pioniera nel campo della carità, ma anche del femminismo. È Francesca Cabrini, la santa patrona dei migranti, la prima cittadina statunitense a essere canonizzata (nel 1946 da Papa Pio XII), ritratta nell’omonimo film di Alejandro Monteverde che arriva nelle sale italiane e anche a Lecce al The Space Cinema di Surbo da domani 13 ottobre e fino a martedì 15 ottobre.

 

 

 

 

Un’opera (GUARDA IL TRAILER) che coniuga la biografia e il carisma della religiosa con il racconto cinematografico in stile kolossal di matrice storico-sociale. Protagonista Cristiana Dell’Anna, nota al grande pubblico per la serie “Gomorra”; comprimari Giancarlo Giannini, Romana Maggiora Vergano, John Lithgow e Federico Ielapi. La produzione è targata Angel Studios, realtà legata al successo della serie Tv “The Chosen”, e al progetto ha collaborato anche la famiglia Bocelli: Veronica Berti Bocelli in veste di produttrice esecutiva, mentre Andrea Bocelli e la figlia Virginia sono interpreti della canzone “Dare to Be”. “Francesca Cabrini” si gioca tra una suggestiva messa in scena, temi di impegno civile e un racconto ispirazionale centrato sulla vita di una donna straordinaria.

La storia prende il via a Codogno intorno al 1880. Francesca Cabrini è una giovane suora con vocazione missionaria. Vorrebbe recarsi in Cina per aiutare i più poveri ed evangelizzare. Con insistenza si rivolge al Papa per il tramite di un cardinale, ma senza troppo successo. Quando finalmente si trova davanti a Leone XIII gli espone la sua richiesta, ma il pontefice intravede per lei un’altra destinazione: New York. Appena sbarcata, Francesca Cabrini si imbatte subito in condizioni di estrema povertà, soprattutto per i minori abbandonati nella comunità italiana e irlandese. A complicare poi la situazione le ricorrenti minacce della criminalità locale, l’ostruzionismo dell’amministrazione comunale nonché il tiepido sostegno della diocesi. Tutti elementi, però, che non arrestano il suo coraggio e la sua determinazione…

“Dalle tante biografie emerge il ritratto di una giovane donna che sognava la libertà di poter scegliere. Una donna che non voleva essere comandata da nessuno. Siamo in un’epoca in cui tante, come lei, cambiano le carte in tavola, ad esempio Eleonora Duse o Matilde Serao. Cabrini lo fa a modo suo: attraverso il suo essere missionaria decide il proprio destino”. Sono le parole di Cristiana Dell’Anna, che ben colgono lo spirito del film “Francesca Cabrini”, un vibrante ritratto di donna, di religiosa, capace di abitare le regole sociali ed ecclesiali del suo tempo, ma anche di “sovvertirle” a favore di un disegno più grande. L’obiettivo di Francesca Cabrini e delle sue consorelle è riuscire a disegnare un “impero della carità”, una rete di aiuto sociale e sviluppo culturale che abbracci il mondo, partendo proprio dalle periferie dimenticate.

Lungo questo binario narrativo, l’opera si fa portatrice di una suggestione energica e ariosa, giocata in chiave femminista: il ritratto di Francesca Cabrini non è semplicemente un “santino” piatto, senza sfumature o complessità; ci viene proposta una donna resiliente e tenace, che soffre e combatte per un’idea di giustizia sociale, non esitando anche a scontrarsi con alti vertici della politica o della Chiesa. Laddove c’è una possibilità per fare del bene, lei la abbraccia con convinzione, costi quel che costi. Sia chiaro, il film non ci parla di una rivoluzionaria imprudente: Francesca Cabrini si muove sempre nelle regole, nel perimetro della legge e del rispetto istituzionale, ma di certo non si accontenta di uno sbrigativo “no”.

Al di là del suo essere santa o suora, il film ci ricorda che è stata anzitutto una donna che si è battuta per i suoi ideali e valori, per realizzare il sogno della “carità integrale”. Una donna chiamata a fronteggiare un patriarcato ingombrante tanto nell’amministrazione pubblica newyorkese, condensata nella figura del sindaco riottoso, quanto nella Chiesa locale, colta nell’incerto vescovo. Senza rivoluzioni rumorose, ma con tenacia acuta e granitica, la giovane Cabrini vince intimidazioni, silenzi e resistenze, dimostrando che “un granellino di senapa” può fare molto, persino l’impensabile: in pochi anni riesce a fondare 67 istituti tra scuole, ospedali e orfanatrofi in America e nel resto del mondo. Insomma, un ritratto (cinematografico) capace di raccontare una storia del passato e al contempo di parlare con efficacia alle giovani donne, ai giovani tutti, di oggi, invitandoli a non arrendersi allo status quo.

Nell’insieme, la messa in scena del film “Francesca Cabrini” risulta imponente e accurata, per un’opera che più che un semplice biopic con la sua durata di 142 minuti si direziona verso il kolossal religioso, tra slanci da cinema di impegno civile e racconto ispirazionale, con qualche scivolata ingenua tra mieloso e didascalico così come una regia poco incisiva.

A imprimere indubbia forza e profondità al racconto è l’interpretazione grintosa di Cristiana Dell’Anna, che abbraccia con convinzione le battaglie pubbliche della Cabrini ma riesce anche a dare espressione al suo tormento interiore, tra una bruciante “ribellione” sottopelle e una fede sempre luminosa. A corroborare la sua interpretazione i bravi Romana Maggiora Vergano e Federico Ielapi. Film raccomandabile, realistico, per dibattiti.

 

 

 

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