“Siamo così sicuri che aumentare l’afflusso di turisti porti ricchezza e nuove opportunità a tutto un territorio e a una comunità?”. È questa la domanda che pone Paolo M. Alfieri in un interessante servizio apparso sull’edizione del 25 luglio di Avvenire.
“Non ne sono così convinti - scrive Alfieri - sei studiosi (Giorgio Colacchio, Guglielmo Forges Davanzati, Gianmarco Igino Scardino, Luigino Sergio, Domenico Suppa, Davide Stasi, ndr) che hanno pubblicato sulla rivista Economia e Politica un interessante documento sui limiti dello sviluppo turistico, in particolare della provincia di Lecce (LEGGI IL TESTO INTEGRALE) Il Salento in questi 15-20 anni ha sperimentato un considerevole aumento di visitatori, che oltre alla bellezza del paesaggio ne apprezzano cultura, gastronomia, tradizioni. Di questo grande afflusso (956mila gli arrivi nel 2021, circa il 16% dall’estero), cosa resta per la crescita di una comunità la cui economia ha vissuto già da tempo un vero e proprio cambiamento strutturale? «Variazioni nella crescita del settore turistico non paiono influenzare in alcun modo i futuri valore del tasso di crescita del Pil pro-capite», sottolinea lo studio, che evidenzia la bassa produttività di un settore che soffre tra l’altro di una elevata stagionalità e di incapacità di attrarre un turismo che non sia «povero», visto che raramente riesce a intercettare visitatori con redditi elevati”.
“Ciò è dovuto, secondo lo studio, anche al «nanismo» delle imprese turistiche locali e alla scarsa qualità dell’offerta - prosegue l’articolo di Avvenire -. Per quanto riguarda i soli alberghi della provincia leccese, ad esempio, a farla da padrone sono gli hotel a tre stelle (137 su 339), mentre solo 12 sono le strutture a 5 stelle e 5 stelle lusso. Gli alloggi in affitto ufficiali gestiti in forma imprenditoriale sono 812, mentre 1.628 risultano i bed & breakfast. La ricerca sottolinea «la crescita dell’incidenza di flussi turistici non registrati - nella forma di case e appartamenti non censiti dagli enti di controllo - con il connesso aumento dell’occupazione irregolare, delle attività sommerse e del lavoro nero». Una località come Gallipoli ha fatto notizia più volte negli ultimi anni per l’abusivismo turistico, con appartamenti-pollaio affittati irregolarmente ai giovanissimi nelle giornate d’agosto. Fenomeni simili, che pur hanno inciso nei numeri degli arrivi, hanno «sicuramente contribuito ad impedire lo sviluppo di un’offerta di servizi a più alto valore aggiunto, contribuendo quindi ad abbassare ulteriormente la produttività del lavoro nel settore turistico»”.
“Secondo lo studio (I limiti dello sviluppo turistico nel Mezzogiorno: il caso della Provincia di Lecce), «occorre incentivare l’assunzione di personale qualificato e i corsi di formazione: le strategie delle imprese esistenti sono per lo più focalizzate sul risparmio dei costi e su una politica di prezzo predatoria (l’aumento anche notevole dei prezzi non sconta la riduzione della domanda futura), con pochissimi investimenti sulla formazione dei dipendenti» - è ancora Alfieri a sottolinearlo -. A guadagnarci, insomma, sono soprattutto i rentier, coloro che hanno la possibilità di affittare proprietà, ma il territorio ci ricava poco, senza contare che una zona che punta ormai in maniera così forte sul turismo rischia di esporsi anche alla «mutevolezza delle preferenze» del turismo stesso, che negli ultimi anni guarda non solo alle classiche mete greche, ma anche a destinazioni considerate più nuove (e più economiche) come la vicina Albania, sempre più luogo di vacanze anche di molti pugliesi. Dal dicembre 2009 a maggio di quest’anno le attività di alloggio e ristorazione sono aumentate nel Leccese del 41%”.
“È l’esito finale di una lunga stagione di deindustrializzazione di una provincia che sul finire dell’Ottocento aveva un Pil industriale pari a quello di Milano e superiore a quello di Torino e che ha subito anche, in agricoltura, il fenomeno distruttivo della Xylella - è il commento di Avvenire. Secondo lo studio, la stessa comunicazione sulle tradizioni locali è frutto di una strategia precisa da parte della «classe agiata», una strategia che «contribuisce a rafforzare la convinzione della unicità del luogo» e a «ritardare, sotto il profilo culturale, o finanche a rendere impossibile l’attuazione di strategie alternative di sviluppo»”.
“In conclusione - così chiude Alfieri l’articolo -, stando a questa ricerca il turismo, almeno questo tipo di turismo «non genera crescita», perpetuando di fatto le condizioni di ricchezza e i divari precedenti, semmai è «lo sviluppo locale a essere un prius rispetto all’aumento degli afflussi». L’obiettivo, insomma, non può essere soltanto l’aumento dei numeri, ma la ricerca di un modo diverso di pensare al turismo stesso”.