“La maggior parte degli immobili della Chiesa cattolica è composta da chiese, che non rendono nulla e per le quali bisogna, invece, sostenere elevati costi di manutenzione”.
Lo scrive il presidente dell’Amministrazione del patrimonio della Sede apostolica (Apsa), mons. Nunzio Galantino, a proposito del “mito della Chiesa che non paga le tasse sugli immobili”, nel numero in uscita a marzo del mensile “Vita pastorale”.
“Bisogna ribadire che sugli immobili dati in affitto, quelli cioè che rendono davvero - aggiunge - da sempre le imposte vengono pagate senza sconti o riduzioni”. Ricordando le polemiche alimentate in passato perché l’Ici prevedeva l’esenzione per gli immobili degli enti senza scopo di lucro, integralmente utilizzati per finalità socialmente rilevanti, mons. Galantino evidenzia che “questo tipo di esenzione non riguarda solo gli enti appartenenti alla Chiesa cattolica”. Ma ne hanno “sempre beneficiato e beneficiano tutte le altre confessioni religiose, tutti i partiti, tutti i sindacati e tutte le realtà che realizzano le condizioni previste dalla legge”.
Puntualizza inoltre che “l’esenzione non si è mai applicata alle attività alberghiere, anche se gestite direttamente da istituti religiosi”, il presule indica alcuni dati relativi alle tasse pagate nel 2019 in Italia dall’Apsa, l’ente vaticano che gestisce gli immobili intestati direttamente alla Santa Sede: “5.750.000 euro di Imu e 354.000 euro di Tasi, versati per oltre il 90% al comune di Roma, dove gli immobili si trovano. Se aggiungiamo 3.200.000 euro di Ires, arriviamo a un totale di oltre 9.300.000 euro. Non proprio una bazzecola, tenuto conto che queste somme si riferiscono soltanto alla parte di beni amministrati dall’Apsa. A queste somme va aggiunto quanto, con gli stessi criteri, pagano la Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, il Vicariato di Roma, la Cei, gli Ordini e le Congregazioni religiose”.