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L’ultima degli “esperti”: modificare la messa. No, uno non vale uno. Nell’epoca dei social e del “uno vale uno” siamo ormai abituati a leggere e sentire di tutto.

 

 

 

L’ultima in ordine di tempo è quella dell’epidemiologo Lopalco, consulente della Regione Puglia per l’emergenza Covid, secondo il quale per ridurre i contagi occorrerebbe niente poco di meno che - udite udite - «modificare il rito religioso», modificare la santa messa. A causa della sua costante presenza da due mesi a questa parte sugli schermi delle mie tv, del mio pc e del mio smartphone (sono pugliese), confesso di aver percepito qualche sera la presenza del prof. Lopalco in casa, seduto a tavola tra me e mia moglie: egli, insomma è per me ormai un “congiunto”, o comunque un “affetto stabile”, sicché questa mia non vuol essere polemica con lui.

Del resto egli è solo l’ultimo: già un altro “invasore” della nostra quotidianità nell’era del Covid-19, il prof. Burioni, aveva esclamato dal pulpito dello scienziato «Dio vuole che tutti preghino da casa». Passi l’amabile ambulante della frutta sotto casa che mi dice la sua su come risolvere lo scottante problema di fisica nucleare della massa dei neutrini; e passi pure l’impiegata dell’ufficio postale che, tra una raccomandata e l’altra, mi illustra le sue soluzioni per rendere i processi in Italia più celeri e più giusti. Ma qui la faccenda diventa più complicata. Qui una pandemia, la comprensibile paura della popolazione, la confusione e la debolezza della politica, proiettate tutte insieme in una comunità che ormai scivola facilmente nel manicheismo, hanno fatto sì che un instancabile esercito di sacerdoti televisivi abbia innalzato la scienza al rango di fede intoccabile. La parola degli “esperti” (che sembra frequentino tg, talk show, facebook e twitter più che laboratori e ospedali), nonostante sia da mesi incerta e platealmente contraddittoria su tutto, è il nuovo testo “sacro” universale, anzi, un mysterium fidei: non si discute, è insofferente al controllo democratico ed è autorizzato a compiere qualunque invasione epistemologica (altro che salto), affermando la sua “verità” su tutti e su tutto. Ora anche sui sacramenti, sulla messa, sui riti liturgici. Sia chiaro, di persone competenti abbiamo disperato bisogno, come i campi dell’acqua dei fiumi: senza di essa i raccolti non crescono e non danno frutto. Ma, se i fiumi esondano, i campi vanno in rovina. Il prof. Burioni, infatti, non è tenuto a sapere che per un cattolico partecipare alla santa messa “da casa” è come pensare di sfamarsi guardando la fotografia di un succulento panino (confessarsi, battezzarsi, sposarsi, farsi accompagnare da moribondi non ne parliamo neanche). Allo stesso modo il prof. Lopalco non è tenuto a sapere che per i cattolici il rito religioso non è espressione di un sentimento, ma è diritto di Dio: diritto di essere incontrato realmente come Egli stesso ha stabilito, non il comitato tecnico scientifico. Nè Burioni e Lopalco sono tenuti a sapere che per i cattolici l’Eucarestia in particolare è “fonte e culmine di tutta la vita cristiana”. Entrambi, però, sono a tenuti a conoscere e rispettare i confini dentro i quali esercitare la loro preziosa opera e, magari, anche per non far torto alla loro intelligenza, a riconoscere che 15 persone in una piccola cappella non sono 15 persone in una cattedrale; che una parrocchia di montagna o di collina o di paese non è una parrocchia della periferia di Roma, di Napoli o di Milano; che insomma partecipare a una messa in una chiesa di centinaia di mq quadrati - nel rigoroso rispetto delle norme igieniche, delle distanze e con i dispostivi di protezione adeguati - non comporta certo maggiori rischi di contagio che prendere un autobus di 20 mq, andare a lavorare in fabbrica, al supermercato o affollare una sala scommesse.

                                                                                                                                                                                                                      *Alleanza Cattolica

 

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