“In Italia la fase acuta dell’epidemia è superata, anche se rimane la necessità - ma state attenti, non cantare vittoria prima, non cantare troppo presto vittoria! - di seguire con cura le norme vigenti, perché sono norme che ci aiutano a evitare che il virus vada avanti”.
Il monito, straordinariamente tempestivo, è arrivato domenica da Papa Francesco dopo l’Angelus in Piazza San Pietro. Linea condivisa da Walter Ricciardi, ordinario di Igiene all’Università Cattolica, consigliere del ministro della Salute Roberto Speranza e rappresentante italiano all’Executive Board dell’Oms. Se gli ultimi dati sui contagi rivelano un rallentamento, chiarisce,“l’epidemia non si è esaurita; il Sars-CoV-2 continua a circolare, in alcune aree in modo rilevante, in particolare in Lombardia, ma permane anche nel resto d’Italia, pur con differenze tra regioni. Non ne siamo ancora usciti e per evitare una seconda ondata dobbiamo rimanere vigili”.
Da una decina di giorni in Basilicata non si registrano nuovi casi; zero nuovi casi anche in Friuli Venezia Giulia, Sardegna, Molise, Calabria e Puglia, ma per l’esperto “dobbiamo essere pronti a bloccare eventuali nuovi focolai”, anche perché, avverte, “non sappiamo se i tamponi vengono effettuati in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale. La mia impressione è che non sia così, che ci siano delle regioni che ‘cercano’ molto e altre che ‘cercano’ poco”.
Professore, è stato avviato lo screening con test sierologici. Esiste un monitoraggio nazionale?
Esistono un protocollo nazionale e un campionamento su base nazionale perché l’indagine deve essere rappresentativa di tutta la popolazione italiana. Avviata lo scorso 25 maggio da ministero della Salute e Istat, in collaborazione con la Croce rossa alla quale ne viene affidata l’esecuzione, l’indagine verrà effettuata su un campione di 150mila persone residenti in 2mila Comuni, distribuite per sesso, attività, e suddivise in sei classi di età.
Qual è l’obiettivo?
Avere una fotografia della situazione epidemiologica del Paese, ossia capire la circolazione passata, presente e presumibilmente futura del virus. Questo per comprendere quali siano stati i suoi livelli di penetrazione, e quindi quale sia la percentuale di popolazione suscettibile; comunque alta un po’ in tutta Italia ma in alcune regioni più che in altre.
A che punto siamo con la strategia delle tre T: testare, tracciare, trattare?
Per quanto riguarda il testare, come abbiamo appena detto, dipende dalla quantità dei tamponi e della loro distribuzione sul territorio nazionale, attualmente a macchia di leopardo. Anche l’efficacia del tracciamento tecnologico dei contatti – tramite la App Immuni - dipende dalla capacità delle regioni di attivarlo. In questo momento il contact tracing è soprattutto manuale perché la sperimentazione della App è partita l’8 giugno in Puglia, Abruzzo, Marche e Liguria per essere operativa a pieno regime su scala nazionale dal 15 giugno.
Per ora, quando si registra un caso positivo, gli operatori sanitari della Asl Interrogano il soggetto risalendo a ritroso per ricostruire i suoi contatti al fine di bloccare il focolaio epidemico. Per quanto riguarda il trattamento le cose vanno meglio. Grazie alla capacità di intervento rapido e all’esperienza acquisita dai clinici non si vedono più, o sono molto rari, i quadri estremamente gravi che vedevamo un tempo. Siamo migliorati su tutte e tre questi punti, ma dobbiamo progredire ancora soprattutto su testing e tracciamento.
Questione vaccini: chiarita e superata la vicenda Sanofi, quanti sono i vaccini allo studio e quanto si dovrà attendere? Un paio di mesi fa lei ipotizzava un tempo minimo di 12-18 mesi.
Sì, i tempi sono questi ma stiamo procedendo in maniera incredibilmente accelerata. C’è un “candidato” più avanti degli altri, che vede l’Italia in prima fila con la Gran Bretagna. Si tratta del vaccino messo a punto dallo Jenner Institute dell’Università di Oxford in partnership con l’azienda italiana Advent-Irbm di Pomezia. La sperimentazione clinica di fase 1 sull’uomo, condotta su 510 volontari, si è conclusa positivamente. Se anche gli esiti della seconda fase di sperimentazione saranno positivi, potremmo sperare di avere un vaccino in dosi importanti a fine anno, inizio anno prossimo.
La produzione di vaccini in quantitativi ingenti impone uno sforzo produttivo gigantesco con adeguati piani di investimento. Abbiamo le forze per affrontarlo?
Le forze in campo sono notevoli perché vedono di fatto alleanze di governi, la Commissione europea che ha raccolto 7 miliardi e mezzo a questo fine, e associazioni sovranazionali. Le risorse ci sono, sono straordinarie e sono state messe in campo proprio per accelerare questo processo.
Dalla comunità scientifica a volte arrivano però voci contrastanti che confondono e potrebbero indurre nei cittadini una sottovalutazione dei rischi…
È vero; si tratta di affermazioni categoriche, fatte esclusivamente sulla base dell’osservazione clinica, che spesso non hanno effettiva rispondenza nella realtà. Vedendo nei loro pazienti casi più lievi, alcuni “clinici” ritengono che il virus si sia attenuato. In realtà non è così; lo pensano perché non hanno il quadro completo. L’osservazione clinica costituisce una parte importantissima della medicina, ma non l’unica. Solo la collaborazione tra medicina clinica e medicina della sanità pubblica produce verità scientifiche.
Il virus circola ancora e la sua pericolosità non è affatto diminuita. Non dobbiamo abbassare la guardia.
Lei crede che in autunno ci potrà essere una seconda ondata?
Non possiamo escluderlo. Potrebbe ripresentarsi con il ritorno delle malattie respiratorie come influenza e para influenza. Il pericolo è che si possano sommare ondate epidemiche di influenza e di Covid-19. La nuova circolare ministeriale sulle vaccinazioni anti-influenza amplia la platea degli aventi diritto all’immunizzazione e raccomanda fortemente la vaccinazione agli operatori delle professioni sanitarie per renderla in prospettiva obbligatoria. Questa vaccinazione è molto importante per proteggere anziani e soggetti vulnerabili, ed evitare affollamenti nei pronto soccorso in vista di una possibile seconda ondata di Covid-19. Per fronteggiare quest’ultima occorre inoltre attuare quanto previsto dal “Piano Speranza”: stretta adozione delle misure comportamentali fino a quando non ci sarà un vaccino; rafforzamento di ospedali, di strutture di Covid hospital, di assistenza domiciliare e di sistema dei tracciamenti. Sono stati stanziati 200 milioni; tutte le regioni stanno attivando risposte ma alcune sono più avanti, altre più indietro. Occorre che accelerino per avere più o meno tutte lo stesso ritmo.
In quanto membro della Commissione antidoping della Federcalcio, lei ha collaborato al gruppo di lavoro che ha analizzato la possibilità della ripresa del campionato. Quando si potranno riaprire gli stadi al pubblico?
È un’ipotesi che possiamo iniziare a prendere in considerazione per le regioni in cui la circolazione del virus è ridotta o addirittura pari a zero. Non è pensabile in Lombardia o in aree ancora “calde”, ma nelle regioni dove da diversi giorni i casi sono zero, lì si può cominciare a pensare ad una graduale riapertura. Con un numero ridotto di pubblico per garantire le misure di sicurezza che sarebbero difficili da attuare con migliaia di spettatori. Dobbiamo essere tutti consapevoli che distanziamento sociale, mascherine e igiene delle mani ci accompagneranno a lungo e dovranno essere “una nuova normalità”. Quando ci sarà il vaccino, allora, ma solo allora, potremo valutare di allentare queste misure di sicurezza. Fino a quel momento devono continuare a essere rigorose.