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Si era spacciata come “curatore” nell’ambito della cosiddetta Bluewhale Challenge e dopo averla circuita, tramite i social una minorenne di Palermo aveva iniziato a infliggersi alcuni tagli sul corpo e a inviare le foto alla sua “curatrice”.

 

 

 

Questo è stato il primo step di una cinquantina di prove di coraggio, che il minore avrebbe dovuto portare a termine.

Dopo due anni, si è arrivati ad una conclusione della vicenda, ed una 25nne è stata condannata a un anno e mezzo con pena sospesa per atti di persecutori e violenza privata.

Il processo è stato celebrato davanti al tribunale di Milano per il celebre caso di “Bluewhale” la vicenda, era venuta a galla in seguito a un’inchiesta di una giornalista, che fingendosi una minorenne pronta alla sfida, aveva aperto un profilo sui social ed era entrata in contatto con un’alunna della seconda media di Palermo. Da qui sono partiti i controlli e le denunce per segnalare i pericoli a cui ragazzi erano esposti.

La ragazza, secondo la ricostruzione degli inquirenti e degli investigatori della Polizia postale, tra il mese di maggio ed il giugno del 2017 avrebbe contattato la vittima mediante profili Instagram. Si sarebbe presentata, sostenendo di essere una dei curatori del gioco, imponendo le regole.

La minorenne si sarebbe lasciata condurre e circuire e gestire. Tra le chat si legge: “sei pronta a diventare coraggiosa? Inciditi Yes sulla gamba, se non lo sei tagliati molte volte per autopunirti”. Minacce intimidazioni, fino ad arrivare a rivelarle di conoscere il suo indirizzo Ip e quindi la sua abitazione e le sarebbe accaduto qualcosa di molto brutto,se avesse interrotto la partecipazione alla Bluewhale Challenge.

Dopo Jonathan Galindo e la Bluewhale, secondo la polizia postale sono sempre di più i minori esposti alle trappole del web.

Molti dicono che i mostri non esistono, in realtà i mostri sono uomini e donne, che si nascondono dietro una maschera del web.

 

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