Il 6 febbraio 2014 un cardinale della Chiesa Cattolica, Fernando Sebastián Aguilar, arcivescovo emerito di Pamplona, veniva iscritto nel registro degli indagati per “omofobia”, per aver rilasciato un’intervista a un quotidiano nella quale, sulla premessa che la sessualità è strutturalmente orientata anzitutto alla procreazione, faceva presente che all’interno di una relazione omosessuale tale finalità era preclusa.
Nello stesso periodo in Canada la Conferenza dei Presidi delle facoltà di Legge ha avviato un procedimento amministrativo contro un’università protestante, la Trinity West University, e ha chiesto agli Ordini degli Avvocati di non ammettere alla pratica forense i laureati di quell’ateneo perché “omofobi”: i suoi studenti infatti sottoscrivono un codice di comportamento col quale ci si impegna a non accedere a siti pornografici utilizzando il wi-fi dell’università, a non assumere alcool nel campus e ad astenersi “da forme di intimità sessuale che violino la sacralità del matrimonio tra un uomo e una donna”. La discriminazione risiederebbe nel riferimento alla “sacralità del matrimonio tra un uomo e una donna”, ovvero al fatto che sia menzionato solo questo matrimonio e non quello fra omosessuali.
La Santa Sede ha una dimensione territoriale, ma un respiro universale. Le vicende di gravi e reiterate violazioni della libertà religiosa - i casi prima ricordati sono due di una lunga serie - attestano quel che accade in ordinamenti che hanno già al proprio interno norme antiomofobia. La genericità delle disposizioni penali incriminatrici contenute nel ddl Zan permette una applicazione estesa oltre il limite dell’arbitrio, tale da condizionare non poco la libertà della Chiesa di annunciare il Vangelo.
Le preoccupazioni espresse dalla ‘Nota verbale’ consegnata giovedì scorso dalla Santa Sede al Governo italiano per il tramite del nostro ambasciatore riguarda anche l’attività delle associazioni. In Francia, dove con la legge Taubira sono state estese alla discriminazione fondata sull’orientamento sessuale le discriminazioni razziali - esattamente come si vorrebbe fare in Italia con l’ampliamento delle ipotesi previste dalla legge Mancino, contenute oggi agli art. 604 bis e 604 ter cod. pen. -, si è giunti ad arrestare persone ree di indossare in pubblico una felpa recante il logo della Manif pour tous, cioè un disegno con le sagome di un papà, di una mamma e di due bambini, ritenendo discriminatoria la esibizione di un capo d’abbigliamento recante quell’immagine.
E non vi è soltanto la prospettiva di una condanna definitiva, bensì pure quel che può accadere nel corso delle indagini: i tetti di talune sanzioni previste dal ddl Zan permettono al pubblico ministero di attivare intercettazioni telefoniche e ambientali, e di ottenere dal gip misure cautelari restrittive della libertà. Tutto ciò si traduce in un pesante condizionamento nell’affermazione della dottrina naturale e cristiana in tema di distinzione fra i sessi, di matrimonio, di procreazione, e così via. La concreta violazione dell’Accordo concordatario si correla anche alle giornate di propaganda gender da svolgere nelle scuole ai sensi dell’art. 7 del ddl che non consentono né una esenzione dei singoli alunni, né l’esonero delle scuole di ispirazione cristiana dall’insegnamento di dottrine - come quelle appartenenti all’ideologia gender - frontalmente inconciliabili col Cristianesimo, come più volte Papa Francesco ha avuto modo di ribadire.
Non vi sono precedenti? Quando era in vigore il Concordato del 1929, nella primavera del 1937 accadde che il regime fascista fosse in procinto di approvare il cosiddetto “decreto Lessona” che avrebbe vietato i matrimoni interrazziali nelle colonie italiane in Africa tra i ‘nazionali’ e le donne indigene. In tale circostanza la Santa Sede reagì tramite il card. Eugène Tisserant, segretario della Sacra Congregazione per le Chiese Orientali, e tramite il Nunzio apostolico in Italia, il card. Francesco Borgongini Duca: costui trattò del problema sia con il sottosegretario agli Interni, on. Guido Buffarini Guidi, sia direttamente con il Ministro dell’Africa italiana, on. Alessandro Lessona, da cui per l’appunto prendeva il nome il suddetto decreto. L’esigenza di non tacere dinnanzi a provvedimenti razziali di tale fatta si accompagnava alla intromissione nella disciplina di matrimoni che per la Chiesa cattolica erano perfettamente validi ed efficaci. Alla fine, il provvedimento fu bloccato proprio in virtù del Concordato.
Tornando a oggi, va ricordato che la ‘nota verbale’ non costituisce un pur importante contributo a un dibattito interno a una singola Nazione, come può essere il comunicato di una Conferenza episcopale. È un passo formale fra autorità - lo Stato italiano e la Chiesa cattolica - che, come con identica formulazione sanciscono l’art. 7 Cost. e l’art. 1 del Accordo di revisione del Concordato del 1984, “sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”. È l’atto col quale una delle due autorità segnala all’altra il rischio imminente di violazione dell’Accordo: questo si fonda (art. 2) sul riconoscimento da parte della “Repubblica italiana (…) alla Chiesa cattolica la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione”, e sulla conseguente assicurazione della “libertà (…) di esercizio del magistero”.
Che cosa può accadere adesso? Se le norme hanno un senso, di fronte a una ‘nota verbale’ con un tale contenuto le strade sono due: o Governo e Parlamento concordano una pausa di riflessione sul ddl Zan, che quindi nelle more dovrebbe restare fermo. Oppure, al fine di prevenire conflitti, la soluzione non sta nella sospensione unilaterale del principio pattizio bensì nella sua piena attuazione, con la previsione all’art. 14 che “se (…) sorgessero difficoltà di interpretazione o di applicazione delle disposizioni precedenti (fra cui gli art. 1 e 2 richiamati dalla ‘Nota’), la Santa Sede e la Repubblica italiana affideranno la ricerca di un’amichevole soluzione ad una commissione paritetica da loro nominata”.
E anche in tal caso il d.d.l. Zan dovrebbe restare fermo, in attesa della definizione dell’“amichevole soluzione”, all’esito dei lavori della commissione paritetica.
*con Aldo Rocco Vitale