Diocesi di Oria. La parrocchia affidata a don Antonio Andriulo d'estate è un vero faro grazie alle attività organizzate per i ragazzi, ma tutto l'anno rappresenta un modello di accoglienza e integrazione. Qui il sorriso è veramente il minimo comun denominatore, per tutti. Impossibile non accorgersene.
Tornare a fare il parroco dopo diversi anni a San Vincenzo de’ Paoli in Villa Castelli, località al confine tra il Salento e la Valle d’Itria, parte della Murgia dei trulli, del parco naturale Terra delle Gravine, dell’arco ionico tarantino e della soglia messapica. Ne è felice don Antonio Andriulo, originario di Francavilla Fontana, classe 1975, prete dal 2006, con un sorriso che trapela anche dagli occhi. L’unica parrocchia (GUARDA) , per 9 mila abitanti, nella diocesi di Oria - che comprende undici comuni tra brindisino e tarantino - dove afferisce la maggioranza dei lavoratori ex Ilva di Taranto e tanti addetti del settore agricolo, in particolare oleario.
Nella settimana del grest estivo con minori e adolescenti don Andriulo ha tanto da raccontare: il difficile è riuscire a trovare il tempo per farlo, nel corso di queste giornate così intense e impegnative. E allora corriamo con lui. Perché “per fare il prete – ci confida – che è l’uomo delle relazioni, bisogna stare tra la gente, non in sacrestia dove magari si sta più freschi con la calura estiva, e vivere la comunità”. E lo sa bene don Antonio che ha conseguito la licenza in teologia pastorale giovanile e catechetica alla Pontificia Università Salesiana di Roma.
“Mi sento parte integrante della parrocchia - prosegue -, per me una presenza calma, silenziosa, uno sguardo, una parola, valgono più che tanti programmi, progetti e attività. Al tempo del covid gli anziani soprattutto hanno ancor più bisogno di sguardi e lo fanno notare quando esclamano, magari afferrandoti il braccio: oggi non mi hai neppure guardato”. Il centro estivo, il grest, non è altro che la prosecuzione dell’oratorio invernale e impegna minori dai 4 ai 14 anni, sia mattina che pomeriggio, in attività formative, giochi, e laboratori: creativo, di ballo, di teatro e di musica. Il tema scelto quest’anno è la sostenibilità ambientale, con un percorso di matrice salesiana, che si unisce a Papa Francesco nel cammino tracciato dall’enciclica Laudato Si’, con una selezione oculata di linguaggi utilizzati, d’immagini e storie. Ben 51 gli educatori coinvolti, di età compresa tra i 15 e i 18 anni, e 40 adulti, dai 30 ai 70 anni, utili per ogni necessità di servizio parrocchiale.
“È da diversi anni che in parrocchia offro il mio tempo nel servizio al grest - racconta Marcella Miccoli, 64 anni. Questo progetto, infatti, coinvolge tutte le età, diventando occasione di comunione e di crescita personale non solo per i bambini, ma anche per i giovani educatori e per gli animatori adulti come me. I momenti di formazione e preghiera guidati dal nostro parroco, di condivisione, di gioco e sana competizione, di canto, ballo e creatività rendono il grest una significativa esperienza di vita, di amicizia e di fede. E per riscoprire il senso di appartenenza a una comunità, un’occasione per mettermi al servizio del prossimo e anche un impegno educativo per tirar fuori il meglio e donarlo disinteressatamente agli altri. Preparare e vivere il grest con il parroco significa tutto questo e molto di più, perché ogni anno c’è sempre una bella notizia a sorprendermi, che proviene dall’unicità di ogni persona che rende unica ogni esperienza. Ogni volta quindi accolgo questa opportunità come dono di Dio che mi chiama tramite il parroco. Il sentimento che resta dentro, dopo tutto il servizio prestato, è la gratitudine perché cerco di prendermi cura dei ragazzi e dei giovani, sono sempre loro i primi a dimostrarmi l’amore gratuito di Dio nella semplicità di un abbraccio, di un saluto, un ringraziamento o una chiacchierata. E allora nel grest io mi sento come in una famiglia allargata, in cui posso sperimentare la bellezza dello stare insieme, tutti attori ed ognuno protagonista, e dove al centro c’è sempre e solo il Signore, unico riferimento”. “Sono contenta - le fa eco Graziana Fumarola, 16 anni - perché il don ha riposto fiducia in me dandomi la possibilità di crescere umanamente e spiritualmente e l’opportunità di poter trascorrere giornate di riflessione e di gioia con i ragazzi”.
“Sì, perché i ragazzi - ricorda ancora don Antonio - non devono legarsi al prete, ma alla parrocchia. Quando mi chiedono: qual è la tua passione? È la parrocchia, rispondo. È la casa per tutti, dove nessuno deve sentirsi escluso. Occorre anche saper creare interazioni fra le generazioni. I bambini vanno educati a stare in chiesa, ma anche la comunità deve accoglierli”.
“Ogni persona - ammonisce il piccolo Edoardo, di appena 5 anni, avvicinandosi a don Antonio - ha diritto di sedersi da qualche parte, di avere un posto”. “Ma noi adulti spesso siamo incapaci di pazienza, di garbo, d’inclusione sociale, siamo pronti al giudizio. I diversamente abili sono il mio sorriso, – aggiunge di nuovo il parroco – sono genuini, essenziali e aiutano me e la parrocchia a vivere quel senso di accoglienza vera. Insieme si dà il senso di appartenenza alla chiesa. Il prete non è il protagonista, ma è Cristo al centro di una comunità che cresce. Per questo sensibilizziamo anche alla firma per l’8xmille la Chiesa Cattolica e al sostentamento del clero, e tanti sindacati e commercialisti locali ci sostengono”.
“Sono cresciuto da piccolo in Azione cattolica - conclude il parroco - e lì ho imparato che è fondamentale non solo avviare processi, ma accompagnare cammini educativi. Oggi don Bosco ci chiederebbe: cosa state facendo per garantire un futuro dignitoso ai giovani? Ecco, intanto assicurare sempre la presenza, l’ascolto. Ho visto passare centinaia di giovani nella mia vita, si sono incrociate le nostre storie, i ragazzi mi cercano ancora e in questo leggo la mano di Dio. Infine, ma non per ultimo, vorrei ringraziare i servizi sociali del comune di Villa Castelli per la collaborazione offerta, la società cooperativa sociale L’Ala e le numerose esperienze di attenzione alla povertà ed emarginazione condivise”.