Pochi temi dell’iconografia cristiana hanno conosciuto un percorso così complicato come quello dell’Immacolata Concezione, il cui dogma proclamato definitivamente da Pio IX l’8 settembre del 1854, sancisce come la Vergine sia stata preservata dal peccato originale fin dai primi istanti del suo concepimento.
La tela in questione, opera del pittore gallipolino Gian Domenico Catalano, era collocata un tempo sull’altare maggiore dell’Oratorio confraternale dei nobili a Gallipoli, fondato tra il 1613 ed il 1615, epoca alla quale il dipinto dovrebbe appartenere.
La Vergine, circonfusa da un alone di luce, poggia i piedi sul crescente lunare, è incoronata da dodici stelle ed è affiancata da simboli (desunti da passi significativi del vecchio testamento, come si è esplicitato nella parte centrale del pannello), quali la rosa, il giglio, la Torre di Davide, la città di Dio e la fortuna, un modello iconografico ben codificato dopo il Concilio di Trento.
Numerosissimi i dipinti in tutto il Salento del pittore che cronisti e storici laici celebrano come “eccellente pittore dal pennello d’oro”, conteso da vescovi e priori: il Martirio di Sant’Andrea della parrocchiale di Presicce, il San Carlo Borromeo in Santa Maria degli Angeli a Lecce, il San Francesco della chiesa di San Nicola a Squinzano.
E ancora a Gallipoli, la sua città natale: la famosa Madonna coi SS. Giovanni e Andrea nella cattedrale, la Pietà presso la chiesa del Carmine, le Annunciazioni in San Domenico, San Francesco e Santa Chiara.
Contrasta con tale frenetica produzione la povertà di dati sul Catalano, a partire dalla sua data di nascita, incerta, che alcuni studiosi collocano non prima del 1560.
Come ci informa la Belli D’Elia sarà decisiva per il pittore l’esperienza che si svolse “lontano dalla terra natale, quasi certamente tutta nell’ambiente tardo-manieristico della Napoli dell’ultimo Cinquecento”, che si riscontra nelle opere del Catalano, le quali rivelano la loro dipendenza da un certo tipo di manierismo comune agli ambienti napoletano e spagnolo.