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Tra le strategie di resilienza dei cittadini stranieri in situazione di povertà c’è quella di ricorrere alle reti informali, ossia amicali e familiari, anziché chiedere aiuto al territorio e alle istituzioni.

 

 

 

 

È quanto emerge da una indagine a campione di Caritas e Migrantes tra marzo e aprile 2024 su 670 immigrati, condotta dalla Caritas di Bari-Bitonto, soprattutto tra persone che vivevano nel Sud d’Italia, appartenenti a 62 Paesi diversi, tra cui Filippine, Sri Lanka, Marocco, Ucraina. “Il 62% ha dichiarato di essere occupato, il 21% disoccupato, gli altri svolgono lavori in nero o in grigio - ha spiegato Elena Carletti, della Caritas di Bari-Bitonto, durante la presentazione ieri a Roma del Rapporto Immigrazione Caritas/Migrantes -. Lavorano in ambito domestico, cura delle persone, commercio, ristorazione e alberghi. Nei negozi lavora solo il 10% del campione, il 75% da dipendente ma spesso c’è un rapporto familiare o di amicizia con i titolari. Riguardo alla soddisfazione lavorativa la maggior parte ha lamentato la difficoltà negli spostamenti per andare al lavoro e l’irregolarità contrattuale, mentre alta è la soddisfazione nel campo dei rapporti umani. Bassa soddisfazione in tutti gli ambiti riguarda i lavoratori nel settore agricolo, a causa di forme di sfruttamento e sopraffazione”.

236 persone su 670 persone, ossia un terzo del campione, dichiara di non aver avuto mai bisogno di aiuto per problemi economici. “Chi invece ha chiesto aiuto si è rivolto ad amici, familiari o a Caritas e Migrantes - ha precisato Carletti -. L’aspetto delle reti informali è preminente. C’è il rischio che questo impedisca l’apertura al territorio, perpetuando situazioni vulnerabili”.

 

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