Riceviamo e volentieri proponiamo ai nostri lettori alcune riflessioni giunte in redazione in forma di “lettere al direttore” da tre ragazze alunne della scuola media “A. Grandi” di Lecce. Più che una risposta meritano ammirazione soprattutto da parte di chi è convinto che nuove generazioni non abbiano capacità di pensiero profondo e di virtuosa progettualità.
Si sente affermare con sempre maggiore frequenza che noi, generazione “liquida”, non abbiamo punti di riferimento, valori che ci guidino e che ci sostengano, che non nutriamo ideali che ci facciano impegnare in modo concreto e responsabile, che viviamo nell’incertezza di un continuo e fragile cambiamento.
Eppure noi i valori ed i punti di riferimento li abbiamo trovati, nelle nostre famiglie, tra i libri, a scuola.
Durante l’arco delle lezioni di storia abbiamo avuto la possibilità di re-flectere, di “ripiegare su noi stessi”, di fare in modo che gli argomenti studiati non rimanessero “intrappolati” tra le pagine del libro, ma creassero un “ponte” tra il passato ed il presente, affinché la storia fosse “magistra vitae” e desse voce al nostro pensiero. Ecco il perché di queste lettere.
Ringraziamo la nostra dirigente scolastica Maria Rosaria Manca per aver permesso la pubblicazione di queste lettere.
CONTESTO STORICO
Nel 1884, durante la Conferenza di Berlino, venne resa legittima la “corsa per l’Africa” e sette potenze europee si spartirono il continente per il controllo delle fonti energetiche, petrolifere e per il dominio sulle materie prime. Gli atti più feroci furono copiuti da Germania e Belgio, rispettivamente in Namibia e Congo, che instaurarono forme di dominio brutali e compirono veri e propri genocidi.
Egregio direttore,
[…] Ancora oggi sentiamo troppo spesso parlare di discriminazione razziale, di pregiudizio.
L’azione compiuta da sette potenze europe, che sedute intorno a un tavolo, hanno segnato il destino di un continente intero e “giocato a dadi” con la vita di miliardi di persone, è stato un gesto ancora più spietato e crudele, che sottende preconcetti purtroppo ancora non dissipati, che dimostrano la scarsissima capacità dell’uomo di imparare dai propri errori e di accettare i propri limiti.
Ricordarsi, “riportare al cuore” quello che è accaduto due secoli fa in Africa, vuol dire anche non dimenticarsi di quello che ogni giorno accade in un continente che, noi Paesi occidentali sviluppati e civili, abbiamo contribuito a mettere in ginocchio.
[…] Essere “civili” vuol dire saper accettare le “diversità” altrui, avere la capacità di convivere insieme, arricchendosi reciprocamente, vuol dire saper accogliere. […] Rifiutare oggi il nostro aiuto a tutti quei migranti che, disperati, arrivano sulle nostre coste, scappando da guerra e miseria, erigere muri, chiudere porti, ci rende ancora più colpevoli delle loro disgrazie. Spesso e volentieri ci dimentichiamo che al mondo esiste una sola razza, quella umana, come diceva Albert Einstein.
Saper accogliere, imparare a accogliere è la sfida di cui noi giovani dobbiamo essere paladini.
Se ciò ancora oggi non accade, è perché, forse, siamo ancora rimasti seduti a quella Conferenza di Berlino.
La ringrazio per l’attenzione.
Distinti saluti,
Sophia Di Donfrancesco (III B)
Egregio direttore,
[…] La storia ci insegna che noi Europei siamo sempre stati spinti dalla certezza di avere una responsabilità di enorme portata: quella di esportare, di far conoscere agli Stati non all’avanguardia come i nostri la civiltà occidentale, che ritenevamo la migliore. Questo ha portato al colonialismo e successivamente all’imperialismo. Nella Conferenza di Berlino abbiamo considerato il popolo africano come se un oggetto inanimato, ci siamo spartiti il suo territorio.
[…] Mi duole precisare che ancora oggi, a distanza di circa 135 anni, la nostra concezione di “superiorità”
non si sia per niente modificata. Basti pensare ai numerosi episodi di razzismo e discriminazione che quotidianamente riempiono le pagine dei giornali di cronaca o i servizi dei telegiornali. È possibile, è “civile” che nel XXI secolo molti uomini, intesi come razza, non riescano ancora ad andare oltre al colore della pelle, all’aspetto fisico, alla religione in cui si crede, alle particolarità che rendono ognuno di noi unico?
[…] Basterebbe forse che ognuno di noi si soffermasse sulle discussioni che avvengono all’interno delle classi, in famiglia, tra amici. Basterebbe, forse, partire dalle piccole cose. Oggi il nostro pregiudizio, la nostra presunzione, il nostro orgoglio, i nostri preconcetti sono simili a quelli che animavano i colonizzatori, sono quelli che ci portano a combattere “guerre morali”, guerre che forse non annientano stati o nazioni, ma annientano chi è accanto a noi con un mezzo assai più distruttivo di un’arma da fuoco: le parole.
Un antico proverbio africano recita “La ferita provocata da una parola non guarisce”. E purtroppo è
vero.
Parole che colpiscono, parole che feriscono, parole apparentemente innocue che cambiano forma, parole che demoliscono internamente, “armi diverse” che usiamo con leggerezza. Ma sta a noi decidere, sta a noi ragionare sulle conseguenze che la smodatezza delle nostre azioni potrebbe avere.
[…] Sta a me voler imparare dagli avvenimenti studiati o trovare nella Storia risposte che riescano a soddisfarmi, quelle risposte che i comportamenti della nostra società non mi stanno aiutando a trovare.
La ringrazio per l’attenzione.
Distinti saluti,
Julia Vaglio (III B)
Egregio direttore,
[…] “Historia Magistra Vitae” diceva Cicerone, eppure l’uomo non riesce quasi mai ad imparare dai propri
sbagli. Colonialismo ed imperialismo hanno portato nel ‘900 all’ostilità verso altre nazioni, al militarismo, al razzismo, alla Seconda Guerra Mondiale, all’antisemitismo ed allo sterminio degli Ebrei.
È triste pensare che ancora oggi ci siano ancora fenomeni di omofobia, di discriminazione, di intolleranza. Basti solo pensare alla scorta assegnata alla enatrice a vita Liliana Segre o alle ottanta lapidi profanate in un cimitero ebraico in Danimarca per comprendere che l’uomo stia commettendo gli stessi errori del passato. Siamo ancora quei coloni che nel XIX secolo sterminarono i popoli colonizzati perché ritenuti “diversi”, “altri da loro”, “inferiori” o siamo il futuro, siamo il domani? Vogliamo percorrere nuove strade o vogliamo ricadere nell’oblio del passato? Dobbiamo cambiare il presente, se desideriamo un futuro migliore. Dobbiamo cambiare il nostro modo di pensare e di agire, se vogliamo che i nostri discendenti abbiano qualcosa in cui credere e la speranza di vivere bene.
L’intolleranza, infondo, non è altro che evitare di sedersi accanto ad una persona con un colore di pelle diverso dal nostro, prendere di mira un compagno con un carattere diverso dal nostro. L’intolleranza è l’attaccamento rigido alle nostre idee, alle nostre convinzioni, partendo dal presupposto, o meglio dalla presunzione di essere in possesso dell’unica verità. La nostra.
“Viviamo tutti con l’obiettivo di essere felici; le nostre vite sono diverse, eppure uguali” diceva Anne Frank.
La ringrazio per l’attenzione.
Distinti saluti,
Giulia Giaffreda (III B)