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“Fragile, è la scritta che troviamo sul pacco per avvertirci di un contenuto delicato ma, fragile, è anche la natura umana” inizia così una lettera affissa all’uscio di un sottano in pieno centro storico di Lecce e che salta all’occhio del passante, forse perché fotocopiato su carta gialla.

 

 

“Per un motivo o per l’altro siamo tutti fragili e, lo abbiamo capito da un pezzo, trovando il modo di diventare più resistenti, visto che abitiamo la terra da almeno 300.000 anni”. Ma non è solo l’umanità ad essere fragile anche le stesse città lo sono, sentenzia la fotostatica della lettera alla città a firma dell’umanista Claudio Lucchin (LEGGI IL TESTO INTEGRALE) e appesa dal proprietario sulla porta quasi a lanciare un monito o a suggerire soluzioni.

“D’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una domanda” così citando Italo Calvini, il mittente fa notare come il “mettersi in comunione con gli altri significa poter accedere alla felicità, chi ha il brutto difetto di farci consumare meno, perché chi è felice ha già tutto quello che gli serve per riempire il proprio vuoto esistenziale. E, una città felice, o perlomeno serena, posso solo essere fatta di relazioni umane”.

Sperando che quella città del futuro sia veramente una città aperta alle relazioni solo quella permetterà di curare le fragilità e non pensare che l’evoluzionismo e il determinismo tecnologico siano i detentori dell’unico potere comune che cerca partorisce il bene di tutti.

 

 

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