Erano in tanti ieri pomeriggio nella chiesa madre di Monteroni ad accogliere e accompagnare in Paradiso Andrea Spedicato, al termine di una vita breve, bella, serena, anche se per tutto il tempo crocifissa dalla malattia.
Accolta come dono, per fede (LEGGI). Da lui, dai suoi familiari distrutti dal dolore e dalle tante persone che lo hanno conosciuto e amato e che erano presenti in chiesa per pregare con lui e per lui. Ha presieduto l’eucarestia don Andrea Gelardo, amico intimo di Andrea e della sua famiglia. Testimone diretto della sofferenza degli ultimi anni. E poi don Elio Quarta, parroco del Sacro Cuore ha voluto concelebrare in segno di vicinanza e di partecipazione al lutto della famiglia di Andrea. E i suoi amici nel coro che ha animato con il canto la liturgia. E la preghiera di Valeria, compagna di banco, di sempre.
“Ehi Boss (ti chiamavo così) ma ce a cumbinatu? - è iniziata così l’omelia di don Andrea (LEGGI IL TESTO INTEGRALE) -. E sì Andrea, tutto mi sarei aspettato in questo tempo, tranne che stare qui”.
“Penso che tutti noi, oggi - ha proseguito il giovane sacerdote di Arnesano -, ci sentiamo come ai discepoli di Emmaus, che tornano verso casa, delusi, tristi, sconfitti, perché avevano perso un compagno di viaggio, Gesù! Ma oggi le lacrime sono vietate! Perché non ti sarebbero piaciute, Andrea! E tra tante sofferenze tu ci hai insegnato il sorriso, e oggi anche se difficile, dobbiamo tentare di sorridere, come facevi tu, te lo dobbiamo per tutti i sorrisi che ci hai donato”.
“Oggi - ha detto il celebrante - non voglio parlarvi della morte, sarebbe irrispettoso, riduttivo, sia nei confronti di Gesù Risorto, sia nei confronti del nostro Andrea. Oggi vorrei parlarvi della vita! Della vita! Quella che Andrea ha difeso fino all’ultimo, e guai a noi, se diciamo lu Signore l’ha n’difiriscatu. Perché sarebbe come sporcare l’eredità che Andrea ci ha lasciato”.
“Andrea ci ha insegnato la vita, ci ha insegnato che la vita è vita, Sempre! Anche quando è inchiodata da anni, come un Crocifisso, su di un letto, anche quando agli occhi del mondo si appare come un peso perché non più performanti, Andrea ci ha insegnato che la bellezza, tante volte, non risiede su un volto rifatto, ma sul volto di chi sta lottando, di chi sta soffrendo, di chi non si arrende, di chi con il suo corpo sta completando i patimenti di Cristo (1 Col,24). Andrea ci ha insegnato la dignità, che non dipende dal proprio stato di vita, ma che ci è stata donata da Dio, non perché meritevoli di qualcosa, ma perché amati fino alla fine, perché figli. Allora è solo l’amore che cambia la prospettiva, è l’amore che consente al padre di ri-accogliere quel figlio non come servo, ma come figlio, è l’amore che ci permette di superare i nostri limiti e ci consente di essere coraggiosi, è l’amore che ha trasformato la croce - anche quella di Andrea - da strumento di morte e di tortura in ponte che ci raccorda al cielo”.
“Tutto questo - ha concluso don Andrea - può essere sintetizzato in una sola parola: santità. In un mondo in cui tutto ha un prezzo, la santità ci riconsegna il valore, e cioè, che il più deluso il più provato, il più stanco, è preziosità, perché vale il Sangue di Cristo. Andrea, grazie, ti affidiamo i nostri cuori, portali A-Dio…”.