“Putin usa le parole di Gesù (Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici) per giustificare l’invasione e l’odio. La concezione tribale della religione e dell’amicizia è, però, l’opposto del Vangelo, che invece si fonda sull’amate i vostri nemici. La retorica religiosa del potere e della violenza è blasfema”.
In un editoriale che Famiglia Cristiana pubblica nel numero oggi in edicola, Padre Antonio Spadaro, direttore di La Civiltà Cattolica, commenta l’intervento fatto da Vladimir Putin allo stadio Lužniki di Mosca il 18 marzo scorso.
Quel giorno, spiega Spadaro, “era l’ottavo anniversario dell’annessione della Crimea, ma soprattutto la data di nascita di Fëdor Fëdorovic Ušakov, ammiraglio dell’era zarista proclamato santo dalla Chiesa ortodossa russa nel 2001. Chiaro il significato simbolico: la guerra in corso sarebbe sotto la protezione di un santo guerriero, il quale, tra l’altro, nel 2005 fu dichiarato patrono dei bombardieri nucleari. Fede cristiana e bombe nucleari appaiono tragicamente connesse a servizio dello Stato e della sua ‘sicurezza’. Putin aveva postulato l’idea già nel 2007”.
“L’appello militare all’apocalisse giustifica sempre il potere voluto da un dio. Esso è proprio, per esempio, dello jihadismo, ma anche delle forme di suprematismo neo-crociato viste di recente negli Stati Uniti. Tornano in mente altre adunate ricche di liturgie, da quelle fasciste e naziste a quelle comuniste”, sottolinea il direttore di La Civiltà Cattolica: “Per questo papa Francesco ha posto un gesto umile e schiettamente profetico: consacrare al Cuore immacolato di Maria la Russia e l’Ucraina. Insieme, come sorelle, e non come nemiche. Per questo al patriarca di Mosca Kirill, con il quale ha dialogato da fratello in videoconferenza, Francesco ha detto che ‘la Chiesa non deve usare la lingua della politica, ma il linguaggio di Gesù’, che è quello della riconciliazione, della pace e dell’amore”. “La tragedia ucraina è dunque anche una tragedia cristiana - conclude Spadaro -. E proprio per questo è necessario tenere ben aperta la porta del dialogo ecumenico: per incidere sul futuro politico di una riconciliazione tra due popoli, molto lontana quanto necessaria”.