Quanto sta accadendo nel cuore dell’Europa cristiana, cattolica, ortodossa ed evangelica, attesta in modo incontrovertibile la crisi spirituale che attanaglia il Continente dall’avvento del primo secolo del nuovo millennio.
La storia si ripete, non dissimile da quanto avvenne all’inizio dell’ultimo secolo del secondo millennio. Certo è che assistiamo all’irrilevanza morale della fede cristiana nel cuore delle istituzioni politiche e civili; ancor prima nel cuore di chi governa, discerne e decide per i popoli.
Il culto riservato a Dio e la cultura di giustizia e pace derivanti dal Vangelo hanno di fatto lasciato il posto a nuove e crescenti idolatrie umane. La più nociva, che tende ad assolutizzarsi nelle nostre società moderne con evidenza sempre maggiore è l’idolatria dell’io, l’egolatria. La tendenza dell’io a farsi Dio è vecchia quanto la Torre di Babele descritta dal Genesi; ancor prima, antica quanto il peccato originale che vede Adamo ed Eva sottostare a questa satanica tentazione.
Le concause dell’egolatria nelle società moderne sono molteplici e devastanti; attentano decisamente all’uomo, alla sua dignità inalienabile, sacra, integrale e trascendente e sradicano una verità biblica incontrovertibile, su cui si è fondata la nostra civiltà occidentale: Dio è Dio e l’uomo è l’uomo!
L’io dell’uomo globalizzato, che all’Olimpo della merca(n)tocrazia e della tecnocrazia ha consacrato se stesso, è ormai il nuovo Assoluto. Già nella filosofia dell’antica Grecia si postulava: “L’uomo è il metro di ogni cosa” (Protagora). Giova poi ricordare che gli antenati del culto dell’io sono alla base dell’ateismo moderno. “Homo homini deus”, “l’uomo è il Dio dell’uomo” insegnavano gli antichi: una massima idealizzata dai padri dell’ateismo pratico quali Marx, Freud, Nietzsche. È questa la vera “malattia spirituale” del nostro tempo, l’egolatria, l’idolatria di se stessi.
Ma dov’è l’inganno triste, la falsità che va perpetrandosi, che anziché promuovere l’uomo e la sua umanità in realtà lo denigrano e lo distruggono? Se l’io si fa criterio supremo di valore e di condotta, lo stesso io pone un problema serio a se stesso, la cui soluzione, senza Dio, fuori da Dio, si fa tragedia. Più esplicitamente: se io sono “regola suprema” di vita per me stesso, perché - ad esempio - devo rispettare la vita che mi è data senza il mio consenso? Perché devo continuare ad accettare la vita se mi diventa insopportabile? Perché non posso disporne a mio piacimento e determinarne la fine quando lo reputo opportuno? Perché non ricorrere alla violenza, al conflitto, per realizzare le mie pretese? Perché non ritenere l’altro un limite da superare o da eliminare, perché siano soddisfatte le mie voglie, fossero anche i miei sacrosanti diritti?
La storia sembrerebbe non averci insegnato nulla: gli esiti di ogni forma di religione egocentrica, sostitutiva di Dio, sono sempre stati tragici: dittature, totalitarismi, guerre, selezione genetica, eccidi, stermini.
“Riconosci cristiano la tua dignità!”, esortava San Leone Magno, il Papa che, nel V secolo, vide la fine dell’Impero dei Cesari e frenò la furia bellica del “flagello di Dio”, Attila, prendendosi cura dell’Italia e di Roma assediate. Riconosci, cioè, di “essere partecipe della generazione di Cristo, partecipi della sua natura divina. Non tornare all’abiezione di un tempo con una condotta indegna. Ricordati chi è il tuo Capo e di quale Corpo sei membro. Ricordati che, strappato al potere delle tenebre, sei stato trasferito nella luce del Regno di Dio. Ricorda che il prezzo pagato per il tuo riscatto è il sangue di Cristo” (Discorso per il Natale di Gesù).
In noi, nelle nostre vene di cittadini europei e occidentali, scorre il medesimo sangue: è il sangue di Cristo, sangue cristiano! Siamo cristiani prima che ucraini, russi, italiani o americani! Siamo membra di un medesimo corpo, di un medesimo popolo, di una medesima stirpe. E ci accomuna il medesimo destino, segnato proprio dal sangue di Cristo. Sangue che ha dato la vita per la salvezza di un mondo altrimenti votato alla morte e alla distruzione!
Il sangue cristiano ha dato vita a generazioni di uomini liberi, che hanno offerto tutto per ogni superiore conquista di fede, per l’evoluzione di una cultura cristiana che ha onorato la vita e le sue migliori condizioni per l’uomo, nella salvaguardia dei suoi diritti nativi e delle sue legittime aspirazioni.
Altro sangue, oggi, si versa e come un’emorragia non si arresta. Sangue di morte, sangue che alimenta odio, rancore generazionale, guerre fratricide tra popoli fratelli. Sangue che sporca d’onta la storia, che sfida il Cielo, che genera inferno, che vanifica “il prezzo del riscatto” del genere umano, impunemente scaduto nell’inimicizia.
Blaise Pascal, con rara efficacia, un giorno scrisse: “Non soltanto conosciamo Dio unicamente per mezzo di Gesù Cristo, ma conosciamo noi stessi unicamente per mezzo di Gesù Cristo. Noi non conosciamo la vita e la morte se non per mezzo di Gesù Cristo. Fuori di Gesù Cristo, non sappiamo che cosa sia la nostra vita o la nostra morte, Dio e noi stessi” (Pensiero n. 548).
In questo tempo confuso e contradditorio, in cui l’uomo leva la mano armata contro il suo prossimo più vicino, in cui il mondo sembra dividersi in buoni e cattivi, come se tutti noi non fossimo rei di indifferenza dinanzi al male, complici di tante ingiustizie giudicate e non rimosse, di tante sofferenze generate dalla mancanza di verità e di carità, ci chiediamo in che modo sia possibile rientrare davvero in noi stessi e “abdicare” a ogni forma di sovranità umana, liberando un’onda di misericordia, di perdono, di riconciliazione, di fraternità capaci di guarire il nostro cuore e il cuore della storia.
L’uomo di oggi, in fondo, è come un uomo che è uscito di casa e ha perduto le chiavi per rientrarvi. Senza Cristo – la chiave che ha schiuso l’amore per il prossimo e per i nemici – l’uomo non potrà mai, veramente, rientrare in se stesso e ascoltare la voce dello Spirito che lo chiama e lo richiama a ritornare a Dio.
L’uomo: un essere ricco di doni, ma anche creatura fragile, malferma, ferita dal peccato, mortale. L’uomo: grandezza e miseria al tempo stesso. L’uomo: capace di stare in piedi nella misura in cui sa stare umilmente dinanzi al Dio spodestato e ridare a Lui e alle Sue leggi il primato.
“Volesse il cielo che il Signore si degnasse di scuotere anche me, meschino suo servo, dal sonno della mia mediocrità e accendermi del suo amore fin sopra le stelle”. Così pregava il grande santo e diplomatico irlandese Colombano, nel VI secolo.
Consapevoli del momento, è davvero «tempo di svegliarsi dal sonno!», come scrive san Paolo alla Comunità di Roma (cf Rm 13, 11). Non è tempo di commiserare e di commiserarsi: è tempo di ritornare a Dio. Non è tempo di scoraggiarsi e di abbandonare il campo: è tempo di ritornare a Dio. Non è più tempo di giudicare e di protestare: è tempo di ritornare a Dio.
*Presidente nazionale Rinnovamento nello Spirito