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Nei giorni scorsi Portalecce ha dato notizia della nota con cui il nuovo arciprete della basilica di San Pietro, il card. Mauro Gambetti, ha chiarito il provvedimento della Segreteria di Stato che a marzo aveva limitato le celebrazioni agli altari laterali della basilica vaticana che molte perplessità aveva suscitato anche tra i cardinali.

 

 

 

Particolarmente avvilente era risultata la disposizione che confinava le celebrazioni della messa secondo il Messale del 1962 (cd. messa in latino) ad un solo altare nella cripta vaticana.

L’intervento della Segreteria di Stato era stato percepito come una improvvisa perturbazione nella tranquilla convivenza delle due forme del rito romano, voluto da Papa Benedetto e confermato da Papa Francesco: relegare la messa tridentina nella sola cripta di San Pietro aveva il sapore di un passo indietro, minando la pari dignità dei due riti, riaprendo ferite e contrasti e mettendo in pericolo quella pace liturgica per la quale tanti si stanno adoperando. La basilica di San Pietro è la chiesa madre di tutti i cattolici e tutti i cattolici devono sentirsi a casa, accolti con pari affetto materno: e scrive lo stesso Gambetti “la basilica di San Pietro si caratterizza per il ministero di unità, misericordia e ortodossia della fede ed accoglie i pellegrini provenienti da ogni parte del mondo”.

E dunque con gentile chiarezza il cardinale arciprete ha smussato le asprezze delle disposizioni della Segreteria di Stato (costruite su divieti e proibizioni), riportando la questione nell’alveo della ragionevolezza pastorale e mostrando una solerte attenzione verso “particolari e legittimi desideri dei fedeli”, in presenza dei quali si può derogare alla generale regola della concelebrazione in una delle messe ad orario: e ciò accade per le celebrazioni per gruppi di pellegrini, in ragione della comprensione della lingua nella liturgia; e per le celebrazioni secondo il Messale del 1962 (che, come noto, non prevede la concelebrazione).

E il card. Gambetti ha voluto anche richiamare - riguardo al rito tridentino - “il valore pastorale che può rivestire la celebrazione eucaristica per un gruppo di pellegrini, conformemente ai riti esistenti nella Chiesa Cattolica”.

In tempi di accesi contrasti e sterili contrapposizioni, è motivo di conforto che l’eminente prelato abbia concluso la sua nota con una considerazione che pare piuttosto un programma generale per la liturgia: “favorire per ogni sacerdote e ogni fedele la possibilità di vivere le celebrazioni in modo sempre più ordinato al bene, al bello e al vero”.

 

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