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È nata prima la musica o il cervello ? Nel caso di Antonio Montinaro, neurochirurgo e musicologo, il problema non si pone: entrambi esistono da sempre, come Dio. E come Dio vanno indagati, penetrati, metabolizzati per non avere più segreti per l’uomo che vuole sintonizzarsi sui loro misteri.

Domanda scontata, ma ci vuole: quando ha capito che nella sua vita c’era la musica?

Racconto questo particolare personale nei miei due libri “Musica e cervello” e “Melodie ossessive”: all’età di 14 anni, quando, entrato nell’unico negozio di dischi allora esistente a Lecce - parlo ovviamente di La Greca - alla mia richiesta di ascolto musicale, la proprietaria mi propose un brano di musica pop, ma io risposi: “Non sono interessato a questo tipo di musica, voglio qualcos’altro. Non so neppure io cosa”. Allora lei, con molta perplessità, si avvicinò allo scaffale della musica classica e prese un altro disco che con delicatezza pose sul piatto. Si trattava del Primo Notturno in si bemolle minore di Chopin. Le dissi subito: “Stavo cercando proprio questo”. Quello fu l’inizio del mio rapporto con la musica, poi continuato grazie alle spedizioni di Selezione dal Reader's Digest e alle sue pubblicazioni delle Sinfonie di Beethoven, che mi feci regalare da mio padre come premio per i buoni risultati scolastici.

Un predestinato, quindi.

La mia famiglia d’origine - sono nato a Calimera - era modesta dal punto di vista culturale, però mio nonno amava le opere ed ebbi l’occasione di assistere ad alcune trasposizioni cinematografiche di opere famose al cinema Elio. Forse il germe si è sviluppato così.... una volta, sempre tramite Selezione, ebbi l’occasione di comprare tre dischi al prezzo di uno, e scelsi il Concerto per Violino di Brahms, il Concerto per Pianoforte n. 3 di Rachmaninov, la Sonata n.2 per Violino di Bach, con la celebre Ciaccona. Non conoscevo nessuna di queste composizioni, e non so neppure perché comprai proprio quelle - forse il fascino delle copertine o dei nomi - ma il loro ascolto mi conquistò. La Ciaccona di Bach in particolare mi sconvolse, tant’è che le ho dedicato un capitolo nel mio ultimo lavoro (“Melodie ossessive”). Cominciai così a studiare gli autori e ad approfondire la genesi delle loro partiture, passione culminata con la scoperta di Mozart, del quale mi ritengo un grande conoscitore. Oggi posso dire di essere immerso in questo mondo 24 ore su 24, e così sono nati i miei libri: dalla fusione del mio grande amore per la musica con la mia attività professionale. Come neurochirurgo mi sono dedicato per lungo tempo e con amore allo studio del cervello, delle connessioni neurali e degli effetti delle note sulle nostre circonvoluzioni.

Come origina invece la scelta della neurochirurgia?

Da un’esperienza drammatica: la morte di mia madre, quando avevo sette anni, per un tumore cerebrale. Operata da un famoso neurochirurgo a Roma, morì dopo sei mesi. Questo episodio ha ovviamente segnato profondamente la mia vita e deciso anche il mio destino professionale: ho scelto Medicina perché volevo fare il neurochirurgo. Mio padre era un uomo vecchio stile, molto severo e riservato, quindi io, adolescente che non si sentiva amato, trovai un rifugio sicuro nella musica, che ha così sostituito la madre assente.

E che cura molti disturbi, ormai è scientificamente provato.

Moltissimi.  Una sperimentazione nata in America e poi proseguita in Europa:  la musica funziona nel trattamento di una grande quantità di affezioni, dall’ipertensione al Parkinson, dalla depression all’Alzheimer. E poi con i nati prematuri, con l’autismo: a questa tematica dedico grande spazio nel mio libro “Musica e cervello”.

 

Non sono quindi fantasie New Age?

No, quali fantasie? La musica ha la capacità di arrivare dove la parola non arriva: è un linguaggio universale recepito dal cervello nel suo insieme, non solo dal lobo temporale, sede delle aree uditive. È un vero e proprio bagno cerebrale che coinvolge anche l’area motoria. Nel Parkinson, per esempio, l’aspetto ritmico collabora con la terapia medica a sciogliere la rigidità tipica di questa malattia. Idem dicasi per la danza, che migliora la qualità della vita: la psicologa romana Silvia Ragni ha riunito in una sperimentazione un gruppo di malati di Alzheimer, ha dato ad ognuno di essi un violino, e con l’aiuto di un musicista e di un musicoterapeuta è riuscita a migliorare l’aspetto cognitivo di queste persone e il rapporto amicale tra di loro. Questa, oggi, è scienza,  e del resto sono stato uno dei primi in Italia a utilizzare la musica in sala operatoria: nel libro faccio anche l’elenco dei brani da inserire in sala. Un’esperienza di cui si è parlato anche in numerosi congressi medici, e non solo in Italia.

 

Musica classica, ovviamente... e l’altra musica? Bandita?

No, per carità... ognuno ha la sua. Se alcuni pazienti si sono risvegliati dal coma grazie alla canzone, o all’artista preferito, un perché ci sarà... lo sa che anche durante l’anestesia il paziente conserva la capacità di ascolto? La capacità uditiva è la prima a comparire e l’ultima a scomparire... il feto avverte il battito cardiaco della mamma, ed è per questo che il bambino che piange, poggiato sul seno materno, si calma. I miei pazienti, quando si risvegliavano dall’anestesia, mi confessavano: “dottore, mi è sembrato di stare in paradiso”.

Non è che per caso ci erano andati davvero?

Non credo. Però la musica, ripeto, ha effetti sorprendenti. Cura l’insonnia e allevia le sofferenze.

È un dono del cielo?

...un musicologo e docente universitario americano, sapendo di avere l’Alzheimer, teneva un diario su cui aiutato dalla moglie annotava giornalmente il decorso della malattia, il peggioramento graduale del problema. E in una di queste pagine scriveva che è difficile accettare l’idea di un dio che consenta l’esistenza di una malattia come questa. E in un’altra pagina precisa: “L’unica, vera amica fedele è la musica, che mi fa sentire di essere ancora vivo”.

È un uomo in pace con se stesso, Antonio Montinaro?

Altra bella domanda... devo però dire in tutta sincerità che, nonostante il dramma iniziale della perdita materna, successivamente ho fatto incontri, creato amicizie e rapporti straordinari. La  testimonianza meravigliosa di un amico professore universitario a Verona, per esempio, che recentemente mi ha telefonato: “Ho letto il tuo ultimo libro e mi sono messo a piangere, ricordando i tempi della nostra amicizia”...  e poi la neurochirurgia, che mi ha dato molto, come del resto io a lei.  E poi, ovviamente, la mia splendida famiglia: mio figlio che fa l’avvocato a Lecce, mia figlia giornalista a Roma per “Piazza Pulita”,  poi un nipote, figlio di mio figlio, che ha 16 anni... Insomma, è andato tutto bene nonostante quella ferita iniziale. La musica mi ha aiutato, ho fondato a Lecce l’associazione “Mozart”, mi onoro di far parte degli “Amici della lirica” e mi diverto ad organizzare concerti.

 

Mozart perché?

Perché la sua è una musica particolare, come asseriva lui stesso nelle sue lettere: una musica per tutti, non solo per i nobili. D’altronde il “Flauto magico”, capolavoro immenso, fu presentato per la prima volta in un teatro di periferia con grande successo, pur trattando un argomento sconosciuto ai più consistendo nella trasposizione scenica di un’iniziazione massonica. La musica di Mozart tra l’altro è quella maggiormente utilizzata in ambito musicoterapico, perché contempla l’accordatura a 432 hertz, quella più in linea con i nostri lobi temporali. Stessa frequenza di Giuseppe Verdi.

E dei Pink Floyd.

E dei Pink Floyd, certamente. Però Verdi è un genio nella lirica laddove Mozart affronta tutti gli ambiti musicali realizzando capolavori dappertutto, nella musica sinfonica, concertistica, nella musica da camera ed in quella sacra, nel teatro. Un genio universale come Bach, che considero il Sommo.

Ma pure l’ altra musica avrà prodotto qualcosa di buono.

Io ho sempre amato i Beatles, e in particolare “Abbey Road”, capolavoro assoluto. Alcuni brani sono paragonabili ad alcuni Lied di Schubert. E poi, appunto, i Pink Floyd di “The Dark Side of the Moon”.

E i miei adorati Rolling Stones?

Anche loro qualcosa di buono l’hanno fatta.

 

I bambini vanno abituati alla musica fin da piccoli?

Non c’è dubbio. A quella buona, però, non a certe miscele di rumore, da consumare con alcol e droga, che piacciono tanto ai teenager di oggi. Mozart divenne Mozart perché il padre lo aveva introdotto alla musica già a tre anni: a cinque compose il suo primo minuetto. E questo vale anche per Bach, Mendelssohn e molti altri.

Come si rimane cerebralmente giovani?

Continuando ad utilizzare il cervello: leggendo, studiando, mantenendo vivi i rapporti che hanno un significato per noi, senza routine. Andando al cinema, facendo tutto ciò che stimola l’apprendimento. Il cervello, contrariamente a quel che si pensava, si rigenera. La plasticità cerebrale rimane integra quando i neuroni lavorano.

 

E andando ai concerti anche in età avanzata - quesito disinteressato?

Assolutamente sì. La musica crea empatia fra coloro che la amano e la frequentano. Quando si sta in un concerto tutti insieme aumenta il nostro benessere psicofisico.

 

Anche le mucche producono più latte con la musica.

E le piante crescono di più.

Qual è la cosa che le dà più soddisfazione, musica a parte?

Incontrare per strada gente che mi dice: “mi hai salvato la vita.

Quanto sangue freddo ci vuole per avere tra le mani la vita di una persona?

Molto, come anche molta tecnica. Per questo sono grato anche ai maestri che ho avuto, il mio primario Armenise innanzitutto, e poi le scuole in Germania e a Londra che ho frequentato, che hanno ampliato le mie conoscenze e fortificato il mio spirito.

Le è mai capitato di perdere un paziente?

Non per la chirurgia vascolare. Per i tumori cerebrali invece sì, purtroppo. Accade ancora, nonostante dal 1952, anno della morte di mia madre, siano passati molti anni.

 

Libro sul comodino.

Un autore che amo è Oliver Sacks - grande neurologo ed eccellente scrittore - e ogni tanto me lo rileggo. In questi giorni sono ritornato a studiare la vita di alcuni compositori che amo molto, come Beethoven, Schubert, Brahms, Ravel: quando si entra nella loro vita si riesce a capire decisamente meglio il perché della loro musica. E poi ho in cottura un nuovo lavoro.

Crede in Dio?

Dio è musica.

 

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