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Lorenzo Ria appartiene a quella fortunata genia di mortali che non invecchiano mai, tipo Gianni Morandi. Lo intervisti a quasi venti anni dall’ultima volta in cui vi siete incontrati vis-à-vis per quattro chiacchiere sulla versione estiva di un certo presidente della Provincia, e ti rendi conto che - mentre tu sei cambiata, e molto - lui è sempre uguale a se stesso, come se le leggi del tempo non lo scalfissero punto: potenza della corsa (o della politica?).

Livello di soddisfazione di Lorenzo Ria in questo periodo della sua vita.

“Alto. Nonostante l’età, continuo ad emozionarmi. Mi emoziono per esempio quando so che mia figlia – la terza dei miei “grandi” - mi porterà i miei due nipoti, Leonardo di tre e Cecilia di due anni; mi emoziono davanti a un tramonto o alla prima stella di un cielo notturno, da bravo Toro. Ho perso mia madre tre mesi fa, quindi vedere una stella mi fa pensare a lei”.

Toro: arte, natura, animali…

“Non amo i gatti, dei cani prima avevo paura. Li temevo, poi mi sono dovuto abituare all’idea di incrociarne uno, perché quando corri da solo è così. Infatti adesso è un timore superato”.

Lei è uomo di fede, e non ne fa mistero.

“Sì, molto, e cerco di tradurla in atti concreti nella mia vita di tutti i giorni. Da quando sono consigliere al Comune di Lecce, per esempio, sto portando avanti una battaglia per eliminare il gettone di presenza previsto dal regolamento vigente per i presidenti di commissione che partecipano a commissioni diverse dalla loro. Così, per coerenza, ho deciso di devolvere il mio gettone di presenza da presidente della commissione Urbanistica al gruppo di volontari che operano in carcere istituito dalla Caritas diocesana per cui ho prestato servizio alla mensa dei poveri”.

Come è nata l’idea?

“Avevo chiesto a Don Attilio Mesagne di far parte del gruppo che prepara i pasti alla Casa della Carità di Lecce, e ci sono andato tutti i giorni per un anno e mezzo, essendo andato in pensione come avvocato…”.

In pensione??? Ma quanti anni ha?

“Sessantaquattro”.

Incredibile. Cinquanta al massimo…

“Grazie, ma ho anche qualche capello bianco. E, come le dicevo, venivo da Corigliano tutti i giorni per lavorare alla Casa della Carità. Tagliavo l’insalata, preparavo la frutta, servivo… poi, dopo qualche mese, il vescovo mi ha aggiunto al gruppo che assiste i detenuti del carcere di Lecce senza familiari, tipo gli immigrati. Quindi oggi devolvo quei gettoni di presenza da presidente della commissione consiliare Urbanistica a questo gruppo. Questo mi fa vivere la mia fede in maniera più intensa”.

La fede come servizio…  anche la politica dovrebbe esserlo, no?

“Io tendo a tenerle distinte per scelta personale, ma lo spirito di servizio, sì, dovrebbe essere lo stesso. La politica, per citare Paolo VI, è la forma più alta della carità. Io ho cercato sempre di viverla così, almeno, e cerco di uniformarmi proprio a queste tre regole: ascolto (nel senso anche di immedesimazione), umiltà (anche intellettuale), spirito di servizio. E non mi perdo una messa la domenica: non riuscirei a vivere senza. Mi manca purtroppo la comunione, perché sono al secondo matrimonio, ma rispetto le regole della Chiesa. Papa Francesco aveva aperto la strada alla speranza di un cambiamento, ma poi la cosa è finita lì”.

Ha perso sua mamma da qualche mese, diceva… che rapporto aveva con lei?

“Ero molto legato a entrambi i miei genitori, ma mio padre è morto nel ’92, così da allora il rapporto con mia madre è diventato ancora più stretto. Ho vissuto un periodo con lei dopo la separazione dalla mia prima moglie, poi è nato Davide e mi sono trasferito a Corigliano d’Otranto, eppure andavo tutti i giorni a Taviano per mia madre, a parte quando stavo a  Roma. A volte tornavo nel mio paese anche tre volte al giorno... Ora ci vado lo stesso, per i miei nipoti e per i figli grandi”.

E forse anche perché è legato al paese in sé?

“Ho fatto il sindaco di Taviano per 17 anni e ho sempre avuto un rapporto viscerale con la mia comunità. Non mi sono mai perso un funerale, per cui, ripeto, ci sono stati giorni in cui ho fatto avanti e indietro più volte. Inoltre dono il sangue da quando avevo 17 anni…. Quella di Taviano è la prima associazione Fidas del Mezzogiorno, nata nel 1971, le abbiamo dato una sede quando ero sindaco. La posa della prima pietra nell’89, mi pare. Realizzammo il vocabolario della lingua tavianese antica nel 1987 e con il ricavato completammo il rustico della sede su un terreno messo a disposizione dal Comune. Questo per dire del mio legame con il mio paese, dove oggi continuo a tornare per i miei figli, per i miei fratelli e in generale per la mia comunità”.

Un bell’impegno… quanti chilometri sono?

“Trentuno, ma bisogna attraversare molti paesi”. 

Anche la famiglia è per lei luogo di estrinsecazione della sua fede?

“Assolutamente sì. I miei si sposarono con il distintivo dell’Azione Cattolica Italiana. Mio padre era un insegnante di Lettere, veniva da lì -  dalla Dc - ed era molto religioso:  conservo tre o quattro delle sue lezioni sull’impegno dei cristiani in politica. Io stesso sono stato presidente parrocchiale dell’Azione cattolica”.

E poi il rene che ha donato qualche anno fa a sua nipote.

“La figlia di mio fratello. Un problema serio, quello dei trapianti, e tutti dovremmo attrezzarci per dare una mano a chi ha bisogno di aiuto in tal senso. A gennaio ho presentato in Consiglio comunale una mozione per sensibilizzare le scuole al riguardo, in collaborazione con il Provveditorato, l’Asl, il Comune. Però ancora siamo molto indietro, su questo. Ad Altamura, pensi – dove ci sono associazioni che si occupano di questo tema in maniera capillare – si registra il 98-99 per cento di assensi alla donazione, oggi espressi anche sulla carta d’identità. Qui no, purtroppo”.

Sindaco di Taviano, presidente della Provincia, deputato. Che cosa è stato più entusiasmante?

“Tutto, ogni volta, è stato entusiasmante, e per ragioni diverse. Ho iniziato la mia attività politica come consigliere comunale a 21 anni, nel ‘75, quando non ero neanche laureato, ed era bellissimo. Frequentavo la facoltà di Giurisprudenza a Bari, facevo il pendolare e al Comune di Taviano  c’era un vecchio segretario che mi ha formato come consigliere, era preparatissimo anche se non laureato.  Mi piaceva anche stare accanto al sindaco di Taviano di allora quando riceveva le persone; poi mi sono laureato a dicembre 1976, ho fatto pratica da Ernesto Sticchi Damiani, dove sono rimasto come socio di studio, e a 26 anni sono diventato io primo cittadino di Taviano. Avvertivo tutto il peso di questo ruolo: era la stagione della contrapposizione e delle prime coalizioni con i socialisti. Poi, negli anni ’90, la diaspora della Dc, le scelte da fare, la Provincia, stagioni sempre nuove e diverse…. L’entusiasmo è quello di sempre anche oggi, anche se mi piacerebbe poter dare di più”.

Anche perché è sempre stato un amministratore decisamente decisionista, scusi il gioco di parole.

“Vero, ma ho sempre ascoltato molto prima di decidere, e mi sono sempre sforzato di circondarmi di persone valide, anche più brave di me. Potrei citarne tante, tra assessori e tecnici”.

E potrebbero arrivare magari altri incarichi importanti, visto il curriculum politico.

“Ma non dal quel punto di vista. Ho iniziato a fare politica prestissimo, ho già dato. Forse potrei invece impegnarmi su altri progetti territoriali importanti: le fusioni, tipo quella in corso tra Presicce e Acquarica. Lecce, per esempio, dovrebbe lavorare per attrezzarsi meglio su questo fronte, e così i comuni del suo hinterland, perché per migliorare la qualità dei servizi e competere dal punto di vista economico e turistico con la città metropolitana di Bari non c’è altra strada che questa. Anche la Grecìa salentina, se si presentasse in questa forma – come area vasta - avrebbe maggiore attrattività”.

I confini geografici, in effetti, non sono mai un dogma.

“E a me piacerebbe lavorare in questa direzione. Per incidere sulle situazioni devi stare dentro le istituzioni. La passione politica non si spegne mai: penso spesso a uno come De Mita, che a 90 anni, e dopo tutto quello che è stato, è ancora sindaco di Nusco, legittimato dal 70 per cento dei suoi concittadini. Lo stesso è accaduto a Mancini sindaco di Cosenza: difficile cancellare una passione. Io, quando facevo il sindaco, mi alzavo alle quattro del mattino per preparare i miei atti da avvocato”.

A proposito del dibattito sul turismo possibile, in molti hanno ricordato quest’estate che le fortune turistiche del Salento sono cominciate quando lei era presidente della Provincia e Adriana Poli Bortone sindaco di Lecce. Ritiene che tutto quel lavoro per dare visibilità a questa terra e prepararla ai primi approcci con l’industria turistica di qualità, quella di taglio culturale, sia andato sprecato, vista la deriva? Quelle prospettive sono state tradite?

“Tradite” mi sembra una parola grossa. Diciamo piuttosto che non è stata data continuità a certe scelte, a certe intuizioni che si trasformarono in atti di programmazione importanti. A metà degli anni ’90 avevamo un problema: non ci conosceva nessuno. Tutti ci confondevano con il Cilento. Così cominciammo a programmare, anche sulla base di una serie di studi sui distretti turistico-culturali fatti con Mecenate 90… ma a quegli studi ha dato attuazione solo tre anni fa il prefetto di Lecce. Tutti i comuni avevano sottoscritto il relativo protocollo, ma non avevano dato seguito a quelle intuizioni, così oggi parliamo ancora di modelli turistici da sviluppare, dicendo sempre le stesse cose. In quegli anni varammo inoltre anche il Piano territoriale di coordinamento, poi completato sotto la presidenza di Giovanni Pellegrino, e secondo me era un modello valido: infrastrutturazione non pesante, sostenibilità…  certi principi venivano enunciati già a quei tempi. E nel dibattito sulla 275 indicavamo già allora la necessità di evitare un’arteria troppo invasiva… Insomma, un modello già c’era, ma noi continuiamo a rincorrere cose sempre diverse o il contingente, a discutere su “Briatore sì, Briatore no” quando invece avevamo già lavorato per delineare un’idea. Salento in bus è un’invenzione del 2000, un’idea che sarebbe potuta diventare un servizio non dico per tutto l’anno, ma uno strumento per destagionalizzare: se non parti dai trasporti e dalla mobilità, se non allunghi il periodo in cui nel Salento si può fare vacanze, chi vuole venirci non è in condizioni di farlo. E la metro di superficie? Ne parliamo ancora da allora, ma non si vede nulla”.

Torniamo al privato. Libro della vita di Lorenzo Ria?

“L’Odissea”.

Perché?

“Non so, forse perché mi sarebbe piaciuto tanto viaggiare, ma poi sono fondamentalmente pigro”.

Toro, appunto.

“Da presidente della Provincia e dell’Unione Province Italiane sarei potuto andare in tutto il mondo… due volte in Cina, per esempio, e non l’ho fatto”.

Paura dell’aereo?

“No, ma adesso ho molti rimpianti al riguardo. Forse colpa delle mie difficoltà con l’inglese… da presidente della Provincia di Lecce sono andato solo una volta a Bruxelles e una in Grecia, per Interreg. E poi in Ruanda, dove come Provincia eravamo impegnati in alcuni progetti di cooperazione internazionale a sostegno delle Caritas diocesane. Con quella leccese realizzammo la ristrutturazione dell’Istituto delle Suore Salesiane e poi, con la diocesi di Ugento, un centro di maternità gestito dalle Suore Discepole di Gesù Eucaristico. Io andai ad inaugurarlo”.

Rimpianti da mancato viaggiatore, allora?

“Non sono mai stato a Parigi. E a New York ci sono andato solo per la Maratona”.

Risultato?

“Intorno al 28millesimo posto su 40mila partecipanti”.

Non male. E alla Maratona di Roma?

“Intorno agli 8mila su 13mila. Tornando al discorso dei viaggi, però, ci sarebbero tanti posti dove mi piacerebbe andare, tipo la Palestina. Ma sempre per tornare a casa, alla fine: noi salentini siamo un po’ come Ulisse, il nostro viaggio prevede sempre un ritorno ad Itaca”.

Ma la sua Itaca personale qual è, Corigliano o Taviano?

“La mia Itaca è questa terra, ma ad Ada (Fiore, ndc) dico sempre che voglio essere seppellito a Taviano. Il ritorno a Itaca, per me, è lì”.

Cosa insegna ai suoi figli?

“A dire il vero ora sono loro ad insegnare a me, anche perché non so quanto io riesca a farmi ascoltare da loro. Normale, però, anch’io facevo finta di non sentire i miei genitori, ma poi in me si depositava un seme che finiva per germogliare”.

Da tutto ciò che ci siamo detti si percepisce che lei è una persona in pace con se stessa. Soddisfatta.

“Oltre che soddisfatta, contenta di aver dato tutto ciò che è riuscita a dare. Ho avuto molto dalla vita, dalle persone e dalla politica, e penso di aver restituito altrettanto”.

Le piace questa Italia?

“Questa è l’Italia che hanno voluto i cittadini, e dobbiamo accettarla, anche se poi bisogna lavorare per capire perché siamo arrivati a questo punto. Io rispetto tutti: di Salvini non condivido nulla, ma riconosco la sua coerenza. Dei 5 Stelle non apprezzo invece il far leva sulla rabbia delle persone, su notizie infondate finalizzate a far credere che chi ha fatto politica fino ad ora lo abbia fatto solo per soddisfare interessi propri. Questo proprio non lo accetto, anche se ammetto che certe cose la politica le ha realizzate tardi, tipo il ridimensionamento dei privilegi. La gente era esasperata e quindi ha reagito così. Non accetto però la strumentalizzazione di questo malessere, e adesso bisogna lavorare molto per capire dove si è sbagliato. E per cambiare questo stato di cose”.

Ultime -  ma non in ordine di importanza  – domande: chi comanda in casa Ria-Fiore?

“Nessuno: tra persone che condividono l’esistenza si condivide tutto. Bisogna ascoltarsi molto”.

Va bene, allora cambiamo la domanda: chi detiene il telecomando?

“Ada vede poca tivù perché è sempre presa dai suoi libri, quindi direi che la partita è tra me e mio figlio Davide. Che prevale quasi sempre, anche perché i miei occhi, la sera,  si chiudono. E comunque, per fortuna, abbiamo gli stessi gusti: tanto sport e poi Montalbano, di cui lui è appassionatissimo: a scuola lo chiamano “il Commissario Ria”.

Cosa studierà Davide?

“Io spero Scienze motorie, quello che mi sarebbe piaciuto fare se mio padre non mi avesse convinto a prendere Giurisprudenza. Ma Ada è contraria, e lui invece vorrebbe studiare Matematica”.

Auguri.

 

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