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La donna che portò la moda a Lecce. E che ha dato un contributo “pesante” anche alla moda di tutto il mondo, se è vero - come è vero - che i suoi tre figli sono, nell’ordine, uno stilista che ha vestito Mick Jagger e Madonna, un manager oggi presidente della Camera Nazionale della Moda, una regista che si occupa di fashion per un importante gruppo a stelle e strisce. Insomma, Maria Luisa Capasa.

Dovendo dare una definizione di felicità...

Che domanda a bruciapelo... la felicità è quando intorno a te senti la pace. Oppure incontrare persone che non soffrono, e che se soffrono accettano la sofferenza, che fa parte della vita, senza spirito di rassegnazione. Persone che non utilizzano la sofferenza per diventare aride. La mia attività mi ha portato a incontrare persone felici nonostante tutto, ma anche gente che avrebbe tutto per essere felice e che invece è arida, soprattutto verso il prossimo, soprattutto quello più debole. Insomma, essere felici significa saper guardare oltre se stessi.

Le capita spesso?

Mi capita.

E in questo momento della sua vita?

Non posso dire di non avere problemi, in questo periodo della mia vita. Ne ho, ma riesco ad essere felice quando, come due minuti fa, ho attraversato questa meravigliosa piazza (piazza Duomo, ndc) con un sole splendente, e mi sono sentita felice. Mi sono lasciata alle spalle i miei problemi, quindi alla fine la felicità è fatta di piccole cose. Non è una battuta, è un dato di fatto.

Quanto si sente realizzata Maria Luisa Capasa in questa fase della sua vita?

Devo essere sincera, fino a qualche anno fa mi sentivo totalmente realizzata. Adesso, invece, comincio a tirare le somme e fare autocritica, perché capisco che avrei potuto dedicarmi a cose che invece ho tralasciato.

Anche un impegno pubblico?

Anche, sì. Mi è stato chiesto in qualche momento, ma ho sempre detto di no.

Motivo?

Perché non mi sentivo sicura di poter corrispondere al modello che avevo in testa per quel tipo di impegno. E poi fa un po’ parte del mio carattere sentirmi inadeguata, ma la considero una forma di autoconsapevolezza, perché ritengo che chi si mette in gioco debba veramente dare il cento per cento. Io, forse, non mi sono mai sentita disponibile a farlo. E quindi non l’ho mai fatto.

Forse anche per una mancanza di tempo.

Anche.  Dopo la morte di mio marito Uccio, nell’87, mi sono dovuta buttare a capofitto nel lavoro. E quindi, per esempio, sono riuscita a stare poco accanto a mia figlia Rita, che aveva 15 anni. Fu un momento difficile, per cui, d’accordo con gli altri miei due figli, decidemmo di mandarla in collegio a Losanna. È stata un rinuncia forte, per lei ma anche per me, anche se oggi so di aver fatto la cosa giusta perché a distanza di tanti anni Rita mi ripete: “Grazie, mamma, sono stati gli anni più belli della mia vita”. In Svizzera Rita ha fatto le giuste esperienze, e adesso a New York, dove vive da più di diciotto anni, si prende cura della sua famiglia e alleva mio nipote Santo con molta attenzione. Voglio però anche aggiungere qualcosa su mio marito, Uccio, l’unico uomo della mia vita: siamo stati insieme trent’anni, fino all’incidente d’auto che me l’ha tolto, e lui è stato il grande artefice della mia felicità, anche dopo la sua morte. Mi sono sempre augurata che mia figlia trovasse un marito come lui, che ha reso felice me.

Tornando alla possibilità di un impegno pubblico, non è che ora i tempi sarebbero maturi?

No, proprio no. Ora è tempo di giovani maturi: potrebbe sembrare un gioco di parole, ma non lo è. E alla nostra generazione tocca osservare e suggerire, ma non intervenire direttamente. Per carità, l’entusiasmo c’è sempre, ma ogni cosa ha il suo tempo. Forse, se avessi qualche anno di meno… e poi questi sono davvero tempi difficili.

In effetti…

Non solo dal punto di vista economico, anche morale.

Punto di vista di Maria Luisa Capasa o della responsabile dell’Associazione Nazionale Donne Elettrici di Lecce?

Di entrambe. L’Associazione si occupa di politica, ma in maniera assolutamente apartitica. Ognuna delle socie decide del suo voto, anche se ovviamente si cerca di tenere gli occhi bene aperti.

Dicevamo della questione morale italiana.

Una crisi terribile di valori. È cominciato tutto con il 2007, ed è da allora che in questo Paese vengono stritolati, macerati, distrutti le aziende, il commercio, l’artigianato, le attività economiche. Abbiamo dovuto vendere i fiori all’occhiello nazionali, anche nel campo della moda, senza che nessuno abbia mai mosso un dito per impedirlo. I francesi, invece, hanno fatto quadrato a difesa dei loro marchi… in questo, secondo me, uno è più responsabile di tutti, e si chiama Silvio Berlusconi. Anche le aziende, però, hanno le loro colpe: non hanno avuto la lungimiranza di fare squadra per resistere all’urto.

Fine del Made in Italy, insomma?

No, il Made in Italy esiste sempre, ma non è più fatto di capitali. Abbiamo sempre i creativi e la nostra manodopera, che non ha eguali nel mondo. Come trattiamo noi i tessuti non lo fa nessuno, e questo ci consente di poter ancora parlare di Made in Italy. Però è chiaro che bisogna lavorare molto, e questo sta cercando di fare adesso la Camera Nazionale della Moda, mettendo per esempio insieme i tre poli della moda italiana - Milano, Firenze e Roma – e in termini di filiera produttiva trasparente. 

Camera Nazionale della Moda che ha attualmente un presidente che si chiama Carlo Capasa.

E ne sono molto orgogliosa. Carlo è molto sensibile a questi temi, perché la moda è la seconda fonte inquinante dopo il petrolio. Sostenibilità ambientale e sociale: su questo fronte Carlo si sta impegnando molto, e racconterà questo suo obiettivo il 23 novembre sera in un incontro promosso dal Rotary di Lecce.

Anche Rita, dopo aver fatto la regista, lavora nel campo della moda.

È il direttore generale di un importante gruppo fashion Usa.

Ma qual è la ricetta per tirare su tre figli di successo?

Mio marito ed io, ai nostri figli, abbiamo sempre insegnato l’importanza della famiglia e del lavoro. Abbiamo sempre esaltato quel che facevano, e quindi abbiamo infuso loro grande fiducia in se stessi. E li abbiamo anche responsabilizzati fin da piccoli: Ennio e Carlo sono andati in Inghilterra a 11 anni ad imparare la lingua, ed infatti a 14 anni la parlavano perfettamente. Aggiungo poi che a 18 anni non hanno ricevuto in dono una macchina, ma un viaggio. Carlo è stato tre mesi a New York, Ennio scelse l’Oriente.

Con le conseguenze professionali che conosciamo.

Ce l’ha nel sangue, l’Oriente, perché il Giappone è sempre stato nel mio cuore. Un parente di mio padre grande viaggiatore, aveva portato con sé a Lecce moltissimi oggetti da quei Paesi. Alcuni li abbiamo ancora. E poi i miei libri di letteratura giapponese, in particolare di Mishima…. Casa nostra ne era piena, Ennio ha assorbito questa passione.

Nipoti?

Cinque. Ci sono Anton, che presto si laureerà in Economia etica a Londra, ed Annaluisa, che fa l’attrice a Los Angeles, e sono i figli di Ennio. Poi c’è Santo, il figlio di Rita, bambino molto intelligente e capace. Va alla scuola pubblica, è stato di recente selezionato per una scuola di leadership americana,  è cittadino americano con doppia nazionalità. Poi ci sono i due bambini di Carlo, Leone e Zeno, che frequentano una scuola internazionale a Roma.  

Quali sono gli insegnamenti di nonna Maria Luisa?

Favole. Sono una grande lettrice di favole da tutto il mondo. Ne ho per esempio una raccolta da tutto il mondo tradotte da Italo Calvino, un’opera monumentale straordinaria arricchita dal tocco magico di questo grande scrittore. Però, quando i ragazzi vengono da me in estate, racconto anche favole inventate. Poi il problema è quando ti chiedono: “Nonna, ci racconti di nuovo quella dell’altra sera?”.

La grande famiglia si riunisce spesso?

D’estate sì. I ragazzi, una volta terminata la scuola, trovano sempre la nonna ad accoglierli a Otranto. Dove ad agosto ci siamo tutti, anche se poi Ennio ama girare per il Mediterraneo.  L’anno scorso è impazzito per la Sicilia e ha convinto pure Carlo a visitarla. Poi ovviamente ci vediamo tutti a Natale, sempre a Otranto. A Capodanno, invece, tutti liberi.

Cambiamo argomento. La fede?

Mi appartiene, anche se i momenti di dubbio non mancano. Quando vedi milioni di persone che muoiono di fame, di sete, di guerre, non puoi non chiederti perché, e perché Dio non intervenga.  Poi però ti ricordi di Sant’Agostino e della questione del libero arbitrio. Allora riabbracci la fede, che è certamente l’ultima speranza in un mondo come questo.

È ottimista sul futuro dell’Italia?

Non a brevissimo tempo. Finora i nostri ragazzi sono stati costretti alla fuga, non solo nel campo della moda, ma forse i tempi stanno cambiando. E comunque mia figlia l’altro giorno è andata a fare analisi importanti in Usa e lo specialista era italiano, del Sud. Gli italiani sono geni in tutti i settori.

E i salentini, anch’essi ovunque?

I salentini sono sempre geniali, e negli ultimi trent’anni hanno tirato fuori la loro grande creatività in tutti i settori, dalla musica alla moda. Prima o poi tutti quelli che si sono realizzati fuori rientreranno, e allora sì che vedrete. Per adesso, però, ci sono professioni nelle quali qui è ancora molto difficile realizzarsi.

I suoi nipoti, quindi, non verrebbero a vivere qui.

In realtà sarebbero favorevoli, d’estate lo propongono sempre: “Perché non viviamo tutti qui insieme?”. Anton comincia a guardare con attenzione la nostra terra, chissà.

E i figli?

Rita sì, tornerebbe. Carlo ed Ennio meno, anche se amano questa terra, ne sono orgogliosi e rimarcano sempre pubblicamente il fattodi essere salentini, riconoscendo la presenza nel nostro Dna di una vena di pigrizia che è in fondo un’attitudine al dosaggio sapiente dell’azione. E che ti consente di guardare in te stesso per trarne il meglio. Tutti abbiamo bisogno dei nostri spazi e dei nostri momenti.

Anche lei?

Assolutamente. Il sabato sera, per esempio, sono difficilmente disponibile, perché amo stare da sola nella mia casa di Lecce, immersa in un indispensabile silenzio. Siamo tutti un po’mistici, nella mia famiglia, un po’ francescani: togliere è meglio che aggiungere. Un tratto caratteriale spontaneo, non studiato. Siamo minimal.

Non a caso questo minimal ha conquistato le passerelle di tutto il mondo.

Infatti.

Ande, dicevamo, e la politica uscita dalla porta è rientrata dalla finestra della sua vita.

Non dimentichiamo che si tratta di un’associazione nata prima della Costituzione, in prima linea per il voto alle donne e la valorizzazione della figura femminile in tutte le professioni, e oggi contro questo tentativo di tappare la bocca ai giornalisti... La politica, quindi, ci interessa: abbiamo già prenotato la sala dell’Hotel President per l’11 maggio per l’incontro con i candidati alle Europee. Perché riteniamo che l’Unione Europea ci abbia garantito la pace per oltre settant’anni, e che debba essere ancora così.

Ultima domanda: le donne salveranno il mondo?

Lo hanno sempre fatto. Sono madri, e non intendo solo in senso fisico. Ho avuto una zia suora che ha dato da mangiare a tante persone - quando era in Sicilia il bandito Giuliano trafugava gli ortaggi del convento e lasciava i soldi vicino alla piante -  ha costruito asili per i figli degli emigranti nel Salento, è stata una grande benefattrice. Non ho mai visto tanta gente come al suo funerale.

 

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