Il ‘cristiano di mezzo’ non manca mai. Non è una etichetta da attaccare al fratello nella fede, sul quale - come su chiunque - il giudizio compete soltanto a Dio.
È un profilo di comportamento, esito di un atteggiamento mentale, che induce non già a perseguire quel realistico punto di equilibrio consistente per i cristiani nel “cooperare con gli altri cittadini secondo la specifica competenza e sotto la propria responsabilità”, e nel cercare “dappertutto e in ogni cosa (…) la giustizia del regno di Dio”, come ricorda Apostolicam auctositatem, il decreto sull’apostolato dei laici del Concilio Vaticano II. Induce piuttosto a ritenere che ci sia sempre una via intermedia, e che anzi la ricerca del ‘mezzo’ diventa essa stessa un principio operativo, sovraordinato a ogni altro, soprattutto a quelli in passato definiti “non negoziabili”.
Parliamo in particolare del mondo cattolico italiano. Parliamo ovviamente dei suoi orientamenti egemoni, poiché le differenze al suo interno sono tante e tanto datate. In un tempo anche recente, la pesante aggressione, prima ancora che alla fede, a quelli che una volta si chiamavano preambula fidei, doveva fare i conti con presidi culturali solidi e ricchi di elaborazioni e di argomenti, e con la loro traduzione in lavoro sociale e politico. Uno dei pilastri del pontificato di San Giovanni Paolo II, sulla scia del ministero svolto in Polonia e col potente sostegno elaborativo di Joseph Ratzinger, è stato di fondare su solide basi antropologiche la proposta cristiana a un mondo scristianizzato, partendo non dal dato confessionale, bensì dal dato di realtà. Il magistero di Wojtyla non si è fermato ai libri: ha fatto sorgere atenei e centri di ricerca, ha animato movimenti e associazioni, ha lanciato sfide in positivo, ha messo in crisi non soltanto i sistemi ideologici, tanto da concorrere a determinarne il crollo, ma pure le singole intelligenze, interpellando su quel che ciascuno può constatare nella sua oggettività.
La declinazione sociale e politica di questo ciclopico lavoro è stata l’interdizione di leggi e provvedimenti ostili alla famiglia e alla vita. È stata pure il ribaltamento di prospettive in apparenza immodificabili. La legge 40, pubblicata nel febbraio 2004, pose ragionevoli argini alla fecondazione artificiale, riconoscendo - per la prima volta nell’ordinamento - il concepito quale soggetto di diritti; nel 2005 quelle norme furono difese con successo dall’istanza abrogativa referendaria, grazie alla concorde mobilitazione di persone di scienza e di cultura e di esponenti del mondo politico, oltre che di larga parte del mondo ecclesiale, tutti persuasi della ragionevolezza dell’opzione pro life. E quando, subito dopo, è esploso il ‘caso Englaro’ per far passare una legge sul testamento biologico, quella deriva di morte all’epoca fu fermata sul piano normativo, pur perdendo dolorosamente la battaglia per lasciare in vita Eluana.
L’ITALIA COME UNA OLANDA QUALSIASI
Certo, in quegli anni si poteva insistere di più nel promuovere politiche di regressione dall’“inverno demografico”, e dedicare maggiore attenzione ai fenomeni di globalizzazione economica e finanziaria che si sono rivelati fonti di povertà e di marginalità: ma il confronto con quel che oggi passa - si fa per dire - il convento fa impressione. Oggi il ‘cristiano di mezzo’ è tornato centrale: quando il principale quotidiano cattolico, all’indomani del voto di blocco al Senato del ddl Zan titola in prima pagina ‘Omofobia, prevale il muro contro muro’, trasmette il messaggio del rammarico per un compromesso non raggiunto; non invece quello, cha ci si sarebbe attesi dopo un così intenso confronto parlamentare e culturale, della soddisfazione perché era prevalsa la ragionevolezza, soprattutto in quelle decine di senatori che, pur dello schieramento in tesi a favore del ddl, avevano condiviso i dubbi e le perplessità nei confronti delle norme liberticide.
E quando sulle medesime colonne si moltiplicano gli interventi che individuano nel testo Bazoli sull’eutanasia, approdato nell’aula della Camera dopo il passaggio nelle commissioni, un articolato magari da migliorare, ma costituente ipotetico antidoto al referendum per l’abrogazione del reato di omicidio del consenziente, si trascura che lo schema di gioco del fronte pro death è sempre eguale: come fu per l’aborto quasi mezzo secolo fa, anche oggi lo spettro del quesito referendario hard compare per indurre il Parlamento al varo di una legge. L’obiettivo delle due iniziative - quella referendaria e quella del t.u. Bazoli - è però identico, e consiste nel rendere disponibile la vita, e nel porre d’un balzo l’Italia sullo stesso piano di una Olanda o di un Canada qualsiasi.
TRA IL PLOTONE E L’ERGASTOLO
Il ‘cristiano di mezzo’ aveva in realtà da tempo riacquistato centralità. L’ultima modalità di presenza pubblica dei cattolici italiani, col coinvolgimento formale della realtà ecclesiale, fu il Family day del 2007, mentre i Family day del 2015 e del 2016 hanno visto i pastori estranei. L’abbassamento di profilo è iniziato da quasi un quindicennio, nonostante il prezioso magistero di Papa Benedetto sul rapporto tra fede, cultura e politica; ed è passato negli ultimi anni da una opposizione light alla legge sulle unioni civili a una attenzione portata sull’“accanimento terapeutico”, nel momento in cui un Parlamento dubbioso aveva necessità di fermarsi a riflettere sulle disposizioni anticipate di trattamento, in un caso e nell’altro non soltanto non incidendo nell’interdizione, ma addirittura facendo percepire una sostanziale non opposizione. Quella opposizione che invece, manifestatasi con maggior decisione nei confronti del ddl Zan, ha portato al suo stop.
Intendiamoci. Se una battaglia combattuta con tutti gli argomenti e le risorse disponibili giunge alla fine e non ha avuto successo, può pure ipotizzarsi una soluzione di ripiego per salvare il salvabile: quando l’alternativa al plotone di esecuzione è l’ergastolo, mi prendo l’ergastolo! Ma sull’eutanasia si è ancora all’inizio: perché allora darsi per sconfitti e non rendere quella testimonianza culturale e di esperienza che, nonostante tutto, ancora adesso non manca al mondo cattolico italiano? Perché non ritrovarne le ragioni dell’essere stati, fino a non molti anni fa, quella che San Giovanni Paolo II definiva “eccezione italiana”.
(da Tempi mensile, gennaio 2022)