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La prima lezione giunse proprio da Mario Draghi, quando nell’agosto del 2020 aveva un po’ sorpreso e un po’ scandalizzato con la sua distinzione fra debito buono e del debito cattivo, volendo spiegare che una spesa è buona ed accettabile se procura ricchezza ed è invece cattiva se incrementa soltanto i consumi e magari lo spreco. Ci sembrò un’osservazione interessante.

 

 

 

Oggi non ne siamo altrettanto sicuri: abbiamo il timore che il solo criterio della crescita e dello sviluppo possa offuscare le menti e bloccare il sano discernimento, come dev’essere accaduto nelle scorse settimane agli estensori dei documenti di bilancio e ai parlamentari che li hanno approvati, se è vero che fra le previsioni delle uscite per il 2022 si nasconde un incomprensibile incremento delle spese militari, che raggiungono la cifra record di 26 miliardi di euro o poco meno. Una montagna di quattrini come non era mai accaduto; somme che sconcertano e lasciano interdetti, soprattutto per quegli 8 miliardi (e passa) destinati ad acquisti di nuovi armamenti.

Per farne che cosa? E l’art. 11 della Costituzione l’abbiamo dimenticato. Se la Repubblica “ripudia la guerra”, a che cosa servono i nuovi armamenti, i nuovi sistemi d’arma, le nuove mostruosità per le quali occorre impegnare tutto quel danaro?

Pare che la cifra complessiva delle spese militari previste per il 2022 superi - e di molto - le già rilevanti risorse del 2021 che, a loro volta, erano maggiori di quelle indicate in ciascuno egli anni precedenti. Non che sia facile orientarsi e fare bene i conti, visto che la spesa militare è sapientemente spalmata fra almeno tre dicasteri: oltre all’intero bilancio del Ministero della difesa, c’è da considerare il cosiddetto fondo per le ‘missioni’ militari all’estero, che viene allocato presso il Ministero della economia e delle fnanze, e poi anche il capitolo più oscuro, affidato al Mise, Ministero dello sviluppo economico, dove vengono raccolti i fondi destinati all’acquisizione di interi sistemi d’arma. Proprio qui si coglie il record più inquietante, perché le risorse tabellate per l’acquisto di nuove armi superano del 13,8 % la cifra complessiva del 2021, che era già parsa sbalorditiva. 

Non riusciamo a capire. Se anche non ci fossero da affrontare le urgenze poste dalla pandemia, se pure avessimo già affrontato e risolto i problemi della scuola, della ricerca scientifica e della sanità, e se non fossimo costretti a prendere atto della povertà e delle crescenti sofferenze economiche di larghi strati della società, nemmeno allora riusciremmo a capire questa abnorme attenzione verso il comparto militare che a noi pare francamente incomprensibile ed ingiustificabile.

Paradossalmente, fra tutti questi capitoli di bilancio che vedono lievitare le previsioni di spesa, le voci in controtendenza sono davvero poche e riguardano perlopiù la difesa interna, l’unica - probabilmente - che avrebbe la possibilità di trovare un pizzico di giustificazione. Per i Carabinieri, ad esempio, la previsione 2022 è del 7% inferiore a quella del 2021.

Dinanzi ad un quadro di questo genere c’è ben poco da discutere. Dobbiamo soltanto imparare ad essere intransigenti. L’Italia ripudia la guerra, dice la Costituzione, e questo dovrebbe bastare. Non è possibile sostenere - direttamente o indirettamente - le industrie che alimentano la guerra. Dobbiamo ribadire con forza che in Italia non si costruiscono armi, né si fabbricano munizioni, e non si concede ospitalità a chi fa mercato di armi e di bombe. Basta. A forza di cedere e concedere ogni volta qualche cosina siamo arrivati a certi livelli di compromissione che non sono affatto compatibili con la nostra Costituzione. Non si può più tacere. Adesso basta.

 

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