Portalecce volentieri ripropone l’artico apparso sabato scorso su “Nuovo Quotidiano di Puglia” a firma del vescovo di Ugento-Santa Maria di Leuca, mons. Vito Angiuli.
Da decenni si discute sull’eredità della modernità. Con la fine degli anni ’70 e la pubblicazione del famoso libro di Jean-François Lyotard “La condizione postmoderna” (1979), si è soliti utilizzare il termine “postmoderno” per spiegare il radicale cambiamento di paradigma. Non è chiaro, però, se il filosofo francese intendesse parlare di un’epoca totalmente differente e posteriore alla modernità o non piuttosto un suo ulteriore sviluppo quasi fosse la piena realizzazione di un progetto di emancipazione rimasto incompiuto.
Per questo, altri filosofi e sociologi preferiscono usare denominazioni differenti: “seconda modernità” (Ulrich Beck), “surmodernità” (Marc Augé), “modernità liquida” (Zygmunt Bauman).
Di certo, l’età moderna si è caratterizzata per il processo di laicizzazione intrapreso dai filosofi italiani Telesio, Cardano, Pomponazzi e soprattutto Giordano Bruno e Giulio Cesare Vanini. Sono stati questi ultimi due a contrapporsi in modo energico contro la religione operando la sostituzione di Dio con la natura e la teologia con la filosofia. Si è avviato così un processo di scristianizzazione che si è caratterizzato «non come un mero ritorno al paganesimo, bensì come la conquista di una laicità che ha incorporato i valori del cristianesimo»1. E se Giordano Bruno può essere considerato l’iniziatore di questa rivoluzione culturale, Baruch Spinoza rappresenta il sistematico attuatore del rovesciamento dell’ordine teocratico e la sua sostituzione con l’ordine laico, fino a giungere a Friedrich Wilhelm Nietzsche che simboleggia il compimento dell’età moderna e il perfezionatore finale della religione laica.
Considerando la parabola della modernità dal nostro punto di visto, ossia dalla sua fine o dal suo pieno compimento/superamento, si potrebbero indicare i pilastri culturali su cui essa si fonda. Innanzitutto, la negazione del Dio personale. Si accetta Dio, ma si rifiuta o non si riconoscere la divinità di Cristo. Così scrive Sossio Giametta: «Parificando, infatti, la natura a Dio (deus sive natura), Spinoza decretò in realtà il sorpasso storico di Dio da parte della natura, già sua creatura. Per questo è concordemente ritenuto ateo dai credenti, mentre egli stesso non si considerava affatto tale e non lo era, perché negava sì il dio personale, antropomorfico, ma non la divinità eterna e infinita dell’Essere inaccessibile e inconoscibile nella “natura naturans”, da lui chiamata Sostanza»2.
Per dirla con Friedrich Heinrich Jacobi, il dio di Spinoza era “das Gott”, una realtà divina neutra, non “der Gott”, un Dio personale. Di conseguenza, aggiunge Giametta, «Dio non è amore, che è un bisogno (di dare o di ricevere) e Dio non ha bisogni, è libertà che diventa necessità, nel senso che determinato ad agire se non dalla necessità della propria natura. Non è dotato di intelletto e volontà, non progetta, non si pone fini da realizzare, è perfezione perpetua»3.
Un pensatore che si oppose a questo orientamento moderno che, come appare bene nel nostro tempo, porta inevitabilmente all’avvento dell’Anticristo e al declino della filosofia occidentale fu il russo Vladimir Solov’ëv. Egli mise in guardia dal pericolo di rifiutare Cristo4 e cercò di elaborare una visione unitaria basata su “l’unitotalità spirituale del mondo”5. Il suo appello è rimasto inascoltato.
Il secondo pilatro consiste nella scissione tra verità e libertà6 e nell’idea che la ricerca di una verità assoluta sia fonte di intolleranza e di imposizioni che limitano l’esercizio della libertà e ne reprimono la spontaneità e la soggettività7. Conseguentemente la verità è intesa come ricerca continua e inesauribile, libera da dogmi e certezze eterne e indubitabili, e la libertà è interpretata come autodeterminazione che si costituisce nella sua assolutezza, senza vincoli o limiti da riconoscere e da rispettare.
La rivendicazione del primato della libertà al di fuori e contro la verità si sposa con il dominio della tecnica. Essa agisce secondo il principio che “ciò che è tecnicamente possibile è eticamente giustificabile”. Il dato finale consiste in una liquidità della persona e di ogni orizzonte normativo ed etico. Tutto è filtrato non attraverso il concetto o la prassi, ma il sentimento e l’emozione e viene accolto solo se “tocca il cuore”. Nella nostra società liquida, il senso della vita si fonda sul sentire e provare un brivido emotivo.
Questo deciso manifestarsi dell’esistenza “laica” ha un duplice effetto: l’approfondirsi della frattura tra Vangelo e cultura8 e l’evidenziarsi in modo sempre più esplicito del valore e del significato della visione cristiana della vita, anche quando è intesa solo come una delle scelte possibili9. Pertanto, in linea con il pensiero di Romano Guardini, si può affermare che «quanto più decisamente il non credente attua il suo rifiuto della rivelazione e quanto più conseguentemente lo traduce nella pratica, tanto più chiaramente si vedrà che cos’è il cristianesimo. Il non-credente deve uscire dalle nebbie della laicizzazione. Deve rinunciare a quell’“usufrutto” che, pur negando la rivelazione, si appropria dei valori e delle forze che essa ha elaborato. Deve attuare onestamente la sua vita senza Cristo e senza Dio che Cristo ha rivelato, ed esperimentare che cosa questo sia. Già Nietzsche aveva ammonito che il moderno non-cristiano non aveva ancora compreso che cosa sia essere tale»10.
Stando così le cose, per vivere in modo solidale, il credente e il non credente hanno entrambi il compito di cercare una nuova «epistemologia che definisca uno spazio in cui sia permesso al credente di non essere uno stupido, allo scienziato di essere credente, a entrambi di essere uomini»11. L’auspicio è che questo spazio culturale comune sia sinceramente desiderato e onestamente condiviso.
[1]S. Giametta, La filosofia di Spinoza e il duello con Schopenhauer e Nietzsche, Bollati Boringhieri, Torino 2022, pp. 10-11. Il libro riprendere il capitolo “I tesori di Spinoza e il duello con Schopenhauer e Nietzsche”, in Id., L’oro prezioso dell’essere. Nuovi Saggi, Mursia, Milano 2013, pp.346-384. Vedi anche G. Forni Rosa, Cristianesimo e modernità, Le Lettere, Firenze, 2021.
2 Ivi, pp. 11-12.
3 Ivi, 24-25.
4 Cfr. W. Soloviev, I tre dialoghi e il racconto dell'anticristo, EDB, 2021.
5 Cfr. Id., La crisi della filosofia occidentale, Editrice “La Casa di Matriona”, Milano 1986.
6 Cfr. Giovanni Paolo II, Veritatis splendor, 4.
7 Cfr. G. Zagrebelsky, Contro l’etica della verità, Laterza, Roma-Bari 2008.
8 Cfr. Paolo VI, Evangelii nuntiandi, 20.
9 Cfr. C. Taylor, L' età secolare, Feltrinelli, Milano 2009.
10 R. Guardini, La fine dell’epoca moderna, Morcelliana, Brescia 200711, p. 102.
11 G. Lafont, Storia teologica della Chiesa. Itinerario e forme della teologia, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1997, p. 230