Il presidente della Russia è obbligato a giocare il tutto per tutto, per non lasciare la mossa vincente agli odiati nemici. Sempre più preoccupato di guardarsi le spalle, sottoscacco sul piano interno ed internazionale.
Ha citato il vangelo. Lo ha fatto nello stesso momento in cui i suoi ordini portavano morte e distruzione nel cuore dell’Ucraina. Sembra incredibile, ma ci crediamo. Nel 2022 ci mancava un capo di guerra che celebra un’annessione con tanto di predica spirituale e la citazione dotta sull’amore universale.
Che Putin avesse una personalità eccentrica era già noto, che avesse bisogno di uno stigma religioso per giustificarsi era ancora da vedere. Più raffinato di molti suoi predecessori nel tatticismo di prossimità, ma meno pragmatico di Stalin che non perdeva tempo in ciance teologiche (lui che non ci poteva proprio arrivare a Dio) e che si dilettava in quesiti dissacratori chiedendo ai suoi generali di quante divisioni disponesse il Papa...
Dicevamo di Putin... È un tattico di prossimità, maestro di spionaggio e di fantasmi dell’opera, il presidente della Russia vive sottoscacco da quando è nato, per lui l’isolamento è uno stile di vita.
E allora sì che in un tal brodo di coltura prende forma la figura del despota sovietico, in disassociazione strutturale con il politicamente corretto, capace di rubare il breviario ad un prete di campagna mentre con l’altra mano schiaccia il pulsante di comando di un missile kinzhal.
Putin, un messia di neve venuto dalla steppa e diretto verso una Boot Hill che passa dall’Ucraina, privo di visione prospettica, convinto che il mondo debba coincidere a tutti i costi con il suo mondo, e che deve affrettarsi a compiere la sua missione perché il tempo è tutto per chi crede che il tempo sia stato creato interamente per lui.
Senza riuscire mai a vedere il cielo oltre la sua collina degli stivali.