Sono tanti i modi per leggere la Festa della Liberazione e gli avvenimenti connessi al 25 aprile del 1945. Tanti per non sentirne l’importanza, che è poi il peso di un insegnamento e la proiezione sull’oggi.
Forse, in un contesto che vede prorompenti le ansie di libertà e i desideri di pace, è la liberazione dalla guerra che emerge come obiettivo. Come lo fu per gli italiani, e non solo, liberati, nel 1945, dal regime nazifascista.
Le ansie e i desideri, infatti, appartengono a tutti e facilmente si allargano attraverso l’esperienza delle persone e dei popoli, ma soprattutto trasmettono possibilità e ideali da raggiungere. È così che ogni persona, gruppo, comunità o popolo si sente parte della libertà e della pace degli altri.
Eppure, paradossalmente, mentre da ogni angolo del pianeta non cessa il desiderio di libertà e l’ansia di pace, lo scacchiere mondiale mostra facilmente come siano in tanti ad attendere la liberazione dalla guerra, da un dramma che non si ferma alle vittime, all’aggressione, alla distruzione di strutture in modalità diverse. Morti, fosse comuni, spostamenti forzati, modifica etnica dei territori o devastanti effetti sull’ambiente naturale sono purtroppo solo gli effetti diretti, forse gli aspetti più evidenti con cui spesso procediamo ad una rapida descrizione di conflitti, quelli che contrappongono gli Stati o gruppi, comunità, persone all’interno di uno stesso Paese. Le conseguenze, invece, sono scritte in una lista più lunga, destinata ad essere letta nel tempo.
La guerra, si dice, fa combattere gli uomini per realizzare la volontà degli Stati, dimenticando (o fingendo di farlo?) che l’azione degli Stati è frutto della volontà di persone che assumono decisioni o si astengono dal farlo, diventando così responsabili di inutili stragi e della cancellazione di quei valori che vanno oltre la potenza e la violenza.
A domandare la liberazione sono invece donne e uomini in grado di trasmettere al funzionamento di istituzioni il principio che la guerra non è una soluzione e di fondare le regole comuni sulla garanzia della giustizia.
Liberazione dalla guerra significa superare paure, quelle che anche a termine di un conflitto rimangono e sono capaci di trasformarsi in odio e contrapposizione con poche speranze per un futuro in cui trovino salvaguardia l’ordine interno di un Paese o la coesistenza pacifica tra Stati.
Liberazione dalla guerra significa capire come ricostruire personalità e identità, rapporti e relazioni e quindi edifici e strutture ben sapendo che, ad ogni livello, una coesistenza sincera e credibile domanda la prevalenza di interessi comuni, del bene di tutti e di ciascuno.
Liberazione dalla guerra richiede una governance internazionale in grado di prevenire i conflitti o di saperli gestire e condurli a conclusione. Domanda strutture che siano espressione non di volontà particolari, ma veicoli per garantire la sicurezza e l’ordine tra le Nazioni. Problema che nel 1945, mentre si festeggiava la liberazione, venivano posti ad un esame comune che portò nello stesso anno ad una profonda ristrutturazione dell’ordine mondiale, con quella Carta dell’Onu che si apre proprio con la volontà determinata di “salvare le future generazioni dal flagello della guerra”. Fu quello un grande traguardo e tutto sembrò procedere nella direzione tracciata, nonostante i molteplici e ripetuti ripensamenti e comportamenti ispirati al desiderio di potenza che è l’anticamera dell’oppressione e dei conflitti.
Oggi, alla ferma la convinzione che la guerra non è mai risolutiva, affianchiamo la costatazione che le strutture internazionali esistenti sono state private dai loro stessi componenti - gli Stati - di credibilità, di capacità d’azione o anche della sola possibilità di proposta. Eppure, la famiglia umana domanda di essere liberata dalla guerra e chiede agli Stati di non porsi come ostacolo alla pace, ma di farsi portatori di quell’ansia di libertà e di quel desiderio di pace patrimonio di ogni generazione.
Il cammino verso la liberazione prosegue e ci domanda di esserne parte per non essere soffocati dalla prigionia della guerra. È questa la sfida.
*rettore Pontificia Università Lateranense